PORTA RAUDUSCOLANA

PORTA RAUDUSCULANA di Claudi Di Giampasquale

Resti di alte murature in grandi blocchi di tufo costituiscono oggi la sola testimonianza delle Mura Serviane, ossia del più antico recinto della città, databile orientativamente al sesto secolo avanti Cristo. Furono fatte erigere dal quinto re di Roma Tarquinio Prisco poi ampliate e dotate di un ampio fossato dal successore Servio Tullio dal quale presero il nome. Il sesto re fu inoltre anche l'autore della più importante modifica dell'esercito dell'epoca pre-repubblicana. Questa cinta muraria costituì la prima vera difesa di un'Urbe che diventava sempre più grande e potente. Erano un massiccio terrapieno costruito nelle zone più esposte della città, che collegava le singole difese dei colli unendole a protezione lungo il terreno scosceso. Avevano una lunghezza di circa undici chilometri e comprendevano una superficie di 426 ettari, la più ampia fra quelle della stessa epoca conservate nella penisola italiana. Numerose porte si aprivano nel circuito in coincidenza con i tracciati viari che congiungevano la città ai vicini centri abitati. Una di queste era la Porta Raudusculana (oggi scomparsa) che si apriva tra due alture dell'Aventino, grosso modo al centro dell'attuale viale Aventino, all'altezza dell'incrocio con via San Saba. 

Il curioso nome deriva da un'antica etimologia che riconduce al significato di «bronzeo»” e questa aggettivazione sembra possa essere spiegata da alcuni testi di Marco Terenzio Varrone come porta bronzea. Oppure, secondo alcune citazioni di un episodio letterario dello storico romano del primo secolo Valerio Massimo, come maschera di bronzo scolpita o affissa sulla porta stessa.

C'è anche un episodio leggendario che riguarda la Porta Raudusculana e che si rifa alla gens Genucia, una delle più importanti e illustri famiglie plebee dell'Aventino (un ramo dei quali aveva anche il «cognomen»: Aventiniensis i cui membri ricoprirono a Roma importanti cariche pubbliche almeno fino all'epoca delle guerre puniche, dopodiché scomparvero dagli annali.

Per comprendere la leggenda occorre rammentare quanto i romani fossero un popolo fiero, che non sopportava di essere sottomesso o governato con tirannide.

La monarchia di Roma di origine etrusca aveva talmente disgustato i romani che mai più vollero un re, desiderando eleggere i propri rappresentanti senza dettami dall'alto.

In seguito furono governati dagli imperatori che però erano eletti dal senato e riconfermati ogni anno, quindi un minimo di democrazia restava.

Pertanto chiunque volesse farsi acclamare re veniva odiato e punito con la morte. Da qui il racconto che segue:

«Si narra che a un certo Genucio Cipo, pretore, appena varcata la porta per entrare nella città, capitò un prodigio, gli spuntarono un paio di corna sulla fronte. Un augure che era con lui gli predisse che, non appena fosse rientrato in città, ne sarebbe divenuto re, allora Genucio, convinto sostenitore della repubblica, non rientrò in città e si esiliò per la vita.

Per questa fedeltà nei confronti del popolo e dello Stato gli venne dedicata un'effigie bronzea su una porta delle mura dell'Urbe, che da allora si chiamò Raudusculana (bronzea)».
Oggi diamo alle corna ben altro significato, ma un tempo le corna le portavano gli Dei o i re.

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