TRILUSSA

LO STRAORDINARIO MITO DI TRILUSSA di Claudio Di Giampasquale

Erano trascorsi quattrocento giorni dalla breccia di Porta Pia e la conseguente presa di Roma e 135 dalla proclamazione della città a Capitale del Regno d’Italia, quando la mattina di giovedi 26 Ottobre 1871 al primo piano del palazzetto in via del Babuino 114 a pochi metri da piazza di Spagna e dall’imbocco di via della Croce, la giovane sartina Carlotta Poldi diede alla luce un maschietto. Venne chiamato Carlo Alberto in onore del re chè volle unificare gli staterelli della penisola italiana in un unico Regno.

Il piccolo Carlo Alberto era il secondogenito dei Salustri un’onesta famigliuòla di umili origini, composta da suo papà Vincenzo, mamma Carlotta e la sorellina Isabella-Elisabetta di due anni. Papà e mamma lavoravavano alle dipendenze della nobile famiglia del marchese Ermenegildo Del Cinque Quintili che fu padrino di battesimo dei bimbi. Il neo nato venne battezzato cinque giorni dopo la nascita nella chiesa di San Giacomo in Augusta in via del Corso, con l'aggiunta di un terzo nome Camillo e di un quarto Mariano.

I primi anni di vita del piccolo furono funestati da due eventi tragici che dimezzarono il nucleo familiare. Nel 1872, la sorellina morì a causa di una letale difterite, aveva appena tre anni. Dopo soli due anni morì anche Vincenzo il papà.

Rimasta vedova la giovane Carlotta decise di trasferirsi col piccolo Carlo Alberto in via Ripetta, dove rimase per soli undici mesi. Le impegnative incombenze di mamma e di sarta e la solitudine la costrinsero dopo pochi mesi a trasferirsi a vivere col figlioletto nel palazzo nobiliare della famiglia Del Cinque a piazza di Pietra. Il marchese Ermenelgildo, prelato, pittore e musicista, era molto legato a Vincenzo. 

Così Carlo Alberto bambino molto alto di statura, crebbe sereno e trascorse i primi anni della sua vita lì a Piazza di Pietra nel cuore di Campo Marzio a pochi passi dal Pantheon, in quell’elegante ambiente in cui si respirava arte in tutte le sue forme. Raggiunta l’età scolare, mamma Carlotta lo iscrisse all’istituto municipale San Nicola, dove frequentò le prime due classi elementari. Poi lo passarono al più blasonato Istituto Religioso dei Fratelli Cristiani, però rispetto alle scuole municipali più rigido nelle regole ed impegnativo nei programmi scolastici. Carlo Alberto era un bambino solare, con un carattere assai schietto e pronto alla battuta, sempre allegro e giocoso. Subì quindi il rigore e l’inflessibilità educativa di quel cambiamento e il suo rendimento scolastico ne risentì non poco. Nel periodo di transizione tra la fanciullezza e l'età adulta a quindici anni abbandonò gli studi, nonostante le pressioni a proseguire della mamma, dello zio e dei professori che credevano in lui. L’adolescente Carlo Alberto però rimase fermo sulle sue decisioni, si sentiva oppresso dalle regole comportamentali che vigevano in quell’istituto scolastico, schiacciavano il suo spirito libero, creativo e ribelle.

Intraprese un personale e scoordinato cammino da autodidatta. Amava la poesia, soprattutto quella popolare, e possedeva un vero talento nell'improvvisazione di versi in rima e nella loro declamazione. Probabilmente lo ereditò nel periodo della sua prima infanzia quando nel palazzetto a Piazza di Pietra conobbe il poeta Filippo Chiappini seguace di Gioacchino Belli che presto divenne persona influente nella sua educazione trasmettendogli la passione per la poesia romanesca. 

Aveva sedici anni quando nel 1887, introdotto dal poeta dialettale Giggi Zanazzo la redazione de «Il Rugantino»" diretto da Odoardo Zuccari, pubblicò il suo sonetto intitolato "L'invenzione della stampa". Quella sua prima opera letteraria ottenne a sorpresa un ottimo apprezzamento da parte dei lettori e per il giovanissimo Carlo Alberto fu il trampolino di lancio di una lunga e gloriosa carriera artistica. Iniziò così una collaborazione frequente con ‘Il Rugantino’ e anche con alcuni altri giornali satirici e non della capitale, come: “Capitan Fracassa”, “Il Messaggero”, “Don Chisciotte” e il “Travaso delle Idee”.

Fu in quegli albori della carriera che preferì firmare i suoi taglienti pezzi con uno pseudonimo. Scelse la nuova identità artistica tra le sillabe e consonanti della propria reale ed anagrammò il proprio cognome Salustri, trasformandolo armonicamente in Trilussa. Fu una scelta fortunata a tal punto che la fama della locuzione Trilussa è cresciuta esponenzialmente nel tempo sino a divenire oggi uno dei termini simbolo della città di Roma e della romanità verace.

Nel 1888 il giovane poeta pubblicò sempre su “Il Rugantino” una raccolta di versi dialettali dedicati a venti belle donne, intitolata “Stelle di Roma”. Nel 1890 compilò due almanacchi romaneschi intitolati “Er mago de Borgo”. Nel 1895 presso l’editore Voghera pubblicò “Quaranta sonetti” illustrati da Gandolin. Nel 1896 uscirono presso l’editore Folchetto “Altri sonetti”. Vennero poi pubblicate le sue opere: "Favole romanesche" nel 1900, "Caffè concerto" nel 1901, "Er serrajo" nel 1903. La notorietà del poeta romano cominciò a diffondersi oltre i confini della capitale e così venne invitato a Milano al “Torneo dialettale italiano” nel quale insieme ad altri poeti nazionali compì una tournee in varie città d’Italia, distinguendosi con successo . 

Al termine del primo decennio dello scorso secolo, Trilussa ormai ricco e famoso, era un prestigioso, affascinante e conteso intellettuale. La sua ironia era magnetica, molto alto di statura ed elegante si riconosceva ovunque andasse. Vestiva dandy attribuendo grande importanza al proprio aspetto, dando valore soprattutto allo stile, al buon gusto, alle belle maniere. Indossava cravatte vistose ed aveva baffi curatissimi.

Frequentava sia i salotti bene che i teatri, sia i caffè alla moda che le osterie popolari. In ogni luogo comunque otteneva successo e consensi specialmente tra il pubblico femminile. Tra le sue frequentazioni figurarono intellettuali come Marconi, Mascagni, D’Annunzio, Ettore Petrolini, Mondadori, D’Amico, Leoncavallo, Anna Magnani e molti altri, famosi e non. 

Viveva nel Quartiere dell’Oca nei pressi di Piazza del Popolo, in via Maria Adelaide 7. Abitava un’atelier studio-abitazione stile bohèmienne ideato e abitato negli anni precedenti dal pittore Hermann David Salomon Corrodi. Era un’enorme stanzone ricolmo di oggetti bizzarri d’ogni genere, una sorta di loft delle meraviglie.

Quì Trilussa riceveva quotidianamente amici, aspiranti poeti, ammiratrici, giornalisti e amici. Con lui viveva il gatto Pomponio prima e negli anni successivi i gatti Poppea e Ajò. Carlo Alberto amava molto gli animali.

Aveva compiuto da pochi mesi quarant’anni quando conobbe Giselda Lombardi una bellissima ventenne trasteverina che aveva il pallino della recitazione. Trilussa percepì immediatamente il suo talento artistico che unito alla bellezza lo fece innamorare. Grazie alle sue influenti conoscenze riuscì ad introdurla nel mondo del cinema muto e la ragazza venne scritturata dagli studi Celio Film prima e della Cines poi.

Con i suoi preziosi consigli le programmò il successo ed anche con lei usò il sistema dell'anagramma per coniugarle il nome d'arte di "Leda Gys". La relazione durò alcuni anni nel corso dei quali la bella Giselda s’avviò ad una rapida notorietà, con la sua recitazione spigliata e spontanea si staccava dai cliché del cinema muto italiano di quegli anni. 

Cinque giorni dopo il compimento del cinquantunesimo compleanno di Carlo Alberto Salustri, salì al potere Benito Mussolini e in Italia ebbe inizio l’era del ventennio fascista. Il poeta evitò di prendere la tessera del Partito, ma preferì definirsi un “non fascista” piuttosto che un “antifascista”. Pur facendo satira politica, i suoi rapporti con il regime furono sempre sereni e improntati a reciproco rispetto. Qualcuno accostava il nome di Trilussa a quello di Benedetto Croce per il loro modo di non essere fascisti. A questo proposito ecco cosa scrisse Croce al poeta: «La ringrazio del diletto procurato e che non è stato solo diletto, ma anche una tal commozione come di un ritorno ad un’arguzia e a un riso che ora non risuonano più in mezzo a tanta musoneria per tragedia ed epopea».

Trilussa scrisse testi per Petrolini e Fregoli. Nel 1927 venne pubblicata in prosa da Fauno editori “Picchiabbò ossia La moje der ciambellano”. Per Mondadori uscirono invece “La gente” nel 1929 e nel 1930 “La porchetta bianca”. L’editore Formiggini gli pubblicò alcune poesie giovanili intitolate “Campionario” e un piccolo volume di aneddoti dal titolo “Pulviscolo”. Nel 1932, presso Mondadori pubblicò “Giove e le bestie”. Nel 1944 uscì la sua ultima raccolta “Acqua e vino”.

La seconda metà della vita di Trilussa fu caratterizzata da una persona di grande rilievo: la sua governante Rosa Tomei che nel 1930 a soli quindici anni iniziò a lavorare nello studio abitazione di via Maria Adelaide. Rosaria era il suo vero nome e proveniva dalla Ciociaria.

Divenne in breve tempo una figura fondamentale quanto misteriosa nella vita del poeta. Governante, segretaria, perpetua, fantesca, cuoca, infermiera, complice, alter ego, allieva: ma, si presume nulla di più, condannata all' «amore puro». La sua devozione per il pigmalione non fu mai ricambiata, tanto meno sul profilo economico. «Nun t' ho manco sistemata...» si scusò Carlo Alberto Salustri sul letto di morte. Ed infatti cinque anni dalla morte di Trilussa, Rosa fu sfrattata dalla casa di via Maria Adelaide dove per ventun'anni aveva servito “er sor padrone” come lo chiamava lei. Imparando, divertendosi e soffrendo in silenzio.

Divenne il punto di riferimento indispensabile di una vita. Non solo curava la casa e i gatti, ma arrivò presto a scegliere personalmente l'abbigliamento di Trilussa, tenerne la corrispondenza e firmando autografi in vece sua da scambiare con generi alimentari in tempi di guerra. Divenne il suo filtro col mondo, intrattenendo gli ospiti graditi e sbarazzandosi degli altri, tollerando paziente le sempre più rare incursioni femminili di soubrette e belle dame. Trilussa le insegnò molto, Rosa imparò in fretta a leggere e scrivere, apprese a memoria tutti i versi del suo mentore anche per recitarli ai ricevimenti.

Si dedicò ella stessa a comporre sonetti in stile simile. « Sei venuta anarfabbèta e mo' pure la poetessa voi fa' ...» la canzonava ironicamente lui.


Nel dopoguerra Carlo Alberto comincia ad essere assillato da problemi economici. Il suo tenore di vita assai costoso cambiò radicalmente. La salute si fece malferma, iniziò a soffrire di asma. Usciva di rado e anche in casa non riceveva quasi più nessuno. Rinunciò persino all’amato bicchiere di vino di Frascati.

Il 1 dicembre 1950, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi lo nominò senatore a vita per «altissimi meriti nel campo letterario e artistico».


Giovedi 21 dicembre 1950, a settantanove anni compiuti Carlo Alberto Salustri ormai gravemente malato, si spegne. Si narra della sua ironia anche sul letto di morte, si legge nel 1950 in uno dei primi numeri di “Epoca” dedicato alla notizia del suo decesso, che il poeta, già da tempo malato e presago della fine imminente, avesse commentato: «...m’hanno nominato senatore a morte» e che le sue ultime parole, pronunciate quasi sfarfugliando alla fedelissima domestica Rosa, pare siano state: «...e mò me ne vado...».

Cessò di vivere lo stesso giorno di Gioachino Belli altro geniale poeta romanesca. Fu sepolto nello storico Cimitero del Verano in Roma, dietro il muro del Pincetto sulla rampa carrozzabile nella seconda curva. Sulla sua tomba in marmo è scolpito un libro, sul quale vi è incisa la poesia “Felicità”.

Quel triste giovedì dello scorso secolo se ne andò l’uomo ma non il mito. Trilussa rimase ed è ancora vivo ed è reale, splende e alimenta l’anima verace di una Roma che dopo quasi un secolo ha sì cambiato aspetto, ma è rimasta accogliente, scanzonata e ironica come lo spirito del poeta. 

Trilussa, strenuo difensore della dignità dei meno potenti e dei poveri. Trilussa paladino della libertà individuale e «der popolo». Trilussa il poeta che con le sue sensibili e raffinate metafore romanesche adorava mettere a nudo le ipocrisie.

La popolarità di Trilussa varca oggi i confini di Roma e dell’Italia, le sue strofe di velluto che spesso si servirono di favole, sono novelle e narrazioni che insegnano e suggeriscono una morale mai generica e vaga, con un profondo significato che tra le righe si dirige molto oltre l’apparenza attraverso un modo di esprimersi semplice, attuale in ogni epoca. 

L’autore curò fino alla sua morte la sistemazione di una nutrita silloge che fu pubblicata postuma in prima edizione nel 1951. In queste sue poesie sono certamente ancora in vita il fascino del personaggio e la sua capacità di essere cronista di una Roma nuova, la Roma postunitaria. E come tali opere risultino ancora oggi attualissime nella loro morale.

titolo:

TUTTE LE POESIE

titolo per ordinamento:

Tutte le poesie

autore:

Trilussa

opera di riferimento:

Tutte le poesie / Trilussa ; a cura di Pietro Pancrazi ; note di Luigi Huetter ; con 32 illustrazioni dell'Autore e 3 facsimili. - [Milano] : A. Mondadori, [1954]. - XXXIII, 1008 p., [32] c. di tav. : ill. ; 20 cm.

cura:

Pietro Pancrazi

licenza:

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