SANTA MARIA DEI SETTE DOLORI

SANTA MARIA DEI SETTE DOLORI

In via Garibaldi all'altezza del numero 27 dove la strada curva, sorge il complesso conventuale delle Oblate Agostiniane con la chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori. È una delle più nascoste di Roma, se ne sta discreta e silenziosa in un angolo riservato di Trastevere alle pendici del Gianicolo, conosciuta da pochi, è un segreto ben custodito che perfino molti appassionati di Roma non conoscono. Per vederla bisogna varcare il grande cancello che oggi dà il benvenuto agli ospiti di un lussuoso hotel, ricavato all'interno dell’antico convento. Di notevole importanza è il fatto che tutto il complesso fu progettato da Francesco Borromini su commissione di Camilla Virginia Savelli Farnese, duchessa di Latera. Qui il prestigioso architetto barocco vi lavorò fino al 1655. Sia a causa dei numerosi cantieri di cui si occupava in quel periodo a Roma. Sia a causa delle crescenti difficoltà economiche della duchessa. L'obiettivo della nobil donna era quello di edificare un monastero che accogliesse le giovani aristocratiche di salute cagionevole, affinché potessero condurre una vita religiosa e diventare suore. Per cui, in seguito alla defezione del «genio di Bissone» Donna Camilla affidò la direzione dei lavori ad Antonio Del Grande, il quale incaricò tra gli altri, Bartolomeo Checci per l’effettiva esecuzione, il pittore Filippo Baldinucci e lo stuccatore Antonio Caronio con il figlio Bernardo. Le nuove maestranze tuttavia non furono in grado d'interpretare correttamente il progetto borrominiano e perciò lo modificarono. La facciata rimase al rustico del Borromini: la parte da lui progettata e realizzata consisteva nel sistema spaziale cappella/vestibolo dove quest’ultimo era mistilìneo, sia con segmenti rettilinei che archi di curva. I nuovi incaricati ampliarono e conclusero quindi a loro modo i due corpi convessi verticali e la grande superficie articolata, alla ricerca di un effetto di chiusura ispirato alla stretta clausura dell’ordine. Ulteriori modifiche vennero poi apportate a metà del '700 e durante i restauri della metà dell''800 e dei primi del '900.

Entrando nel cortile si vede la facciata non intonacata del monastero in mattoni grezzi che ingloba la chiesa delimitata da due corpi elissoidali che racchiudono una parete concava. Il corpo della chiesa disposto lungo un asse parallelo alla facciata, occupa la metà sinistra del complesso ed è a pianta rettangolare a una navata, prima di accedervi, si giunge ad un piccolo vestibolo a pianta ottagonale. All’interno, la navata è a pianta rettangolare e spigoli smussati, lungo le pareti si innalzano colonne sorrette da una membratura orizzontale sovrapposta agli elementi verticali portanti per collegarli a completamento della funzione di sostegno che si conclude intorno a una finestra a forma di imbuto rovesciato che anticamente consentiva alle suore di assistere alle funzioni. Particolarmente singolare è la corporatura dell’altare maggiore sormontato da due spirali e incastrato nel colonnato delle pareti. Vi sono, di particolare pregio, una pala del pittore marchigiano Carlo Maratta (tra i più importanti esponenti del classicismo tra la seconda metà del seicento e i primi anni del settecento) raffigurante «l'Apparizione del bambino Gesù a sant'Agostino» e una tela dei primi anni del diciottesimo secolo realizzata dal pittore romano Marco Benefial raffigurante «l’Addolorata con angeli che recano i simboli della Passione ».

Questa chiesa ed il monastero, comprensivi anche dell’ordine delle oblate, è particolarmente caro e sentito dalla comunità ebraica: nel corso dei rastrellamenti nazisti infatti, questo luogo fu un punto di riferimento e rifugio per gli ebrei di Roma. Le monache oblate riuscirono a nascondere e proteggere nel convento ben 103 ebrei salvandoli dallo sterminio. Si calcola che solo a Roma la Chiesa abbia salvato dalla Shoah, tra bambini, uomini e donne d'ogni età, ben 4.447 persone di religione ebraica.

Una storia lunga quattro secoli insomma, tra Borromini e la persecuzione romana contro gli ebrei. Fu nel corso dell’ultimo secolo che un gruppo di privati acquistò una parte del monastero, destinandolo alla creazione e realizzazione di un importante hotel il cui nome è stato dedicato alla seicentesca nobile fondatrice «Donna Camilla Savelli». Da monastero di suore oblate a hotel il passo è stato breve in questo caso. Ma anche questo può capitare nella città eterna.


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