PIAZZA DELLA REPUBBLICA

PIAZZA DELLA REPUBBLICA

Piazza della Repubblica, nota anche come piazza dell'Esedra o semplicemente piazza Esedra, è una delle più belle piazze di Roma. Già piazza delle Terme o di Termini, traeva origine dalla grande esedra delle terme romane, il cui perimetro è ricalcato dal colonnato semicircolare della piazza: i portici furono edificati proprio in memoria degli antichi edifici che vi sorgevano,

in essa si fondono le Terme di Diocleziano e la basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, ricavata da un'ala delle stesse terme e che Michelangelo creò sfruttando il tepidarium da un'ala dell'impianto termale, per ottenere l'ampia chiesa a croce greca. Mentre i palazzi dell'Esedra della piazza armonizzano le concezioni artistiche di secoli diversi, sotto lo sguardo delle Ninfe della maestosa Fontana delle Naiadi: quattro ninfe nude, che rappresentano l’acqua e che scandalizzarono i benpensanti dell’epoca. L’attuale perimetro dell’esedra è ricalcato dal colonnato semicircolare i cui portici sono sovrastati appunto dai meravigliosi palazzi edificati tra il 1887 e il 1898 dall’architetto romano Gaetano Koch. Tutta questa spettacolare corte apre l'invito su Via Nazionale una delle principali arterie della Capitale.

Antica e rara raffigurazione architettonica di uno dei palazzi circolari dell'esedra, progettati dall'architetto Gaetano Kock.  in una stampa d'epoca eseguita da M. Bassani, con la bella veduta prospettica del maestoso palazzo, con evidenti i suoi vari livelli, e porticato a piano terra oltre alle varie colonne poste ai lati del palazzo sia a piano terra che nei due piani superiori, come pure visibili due gruppi scultorei con stemmi araldici posti sulla facciata del palazzo in corrispondenza del livello del terrazzo. Visibili due gruppi scultorei con stemmi araldici posti sulla facciata del palazzo in corrispondenza del livello del terrazzo e la serie di lampioni posti ad illuminare il papazzo stesso. L’'autore ha reso realistica la progettazione inserendola nel contesto cittadino, con in sottofondo alcune costruzioni adiacenti, ma si vede anche una carrozza d'epoca. 

INGRANDISCI

L’area occupata dalle Terme di Diocleziano è compresa tra Piazza dei Cinquecento, di fronte alla Stazione Termini, Piazza della Repubblica, via Cernaia e via Volturno, dove doveva trovarsi l’ingresso principale. Al centro del lato opposto, lungo il recinto rettangolare che delimitava il complesso, si trovava un’enorme esedra, ricalcata a fine Ottocento da Piazza della Repubblica. Ai lati dell’esedra erano due biblioteche, seguite da due sale circolari, una trasformata nel 1598 nella chiesa di S. Bernardo, l’altra tuttora visibile all’inizio di via del Viminale. Oltre l’ingresso, attraverso un maestoso giardino si raggiungeva l’edificio centrale con gli spazi termali. Del calidarium non resta che una piccola abside che costituisce la facciata di Santa Maria degli Angeli, mentre sono conservati integralmente il frigidarium, l’imponente aula con volta a triplice crociera, e il tepidarium a pianta circolare, riconoscibili rispettivamente nel transetto e nel vestibolo della Basilica di S. Maria degli Angeli. Ai lati dell’edificio centrale erano simmetricamente disposte le palestre porticate e numerosi altri maestosi ambienti comunicanti tra loro, le cosiddette Grandi Aule iniziate nel 298 e compiute tra il 305 e il 306, Erano le più grandiose di Roma. Alla caduta dell'Impero, nonostante i saccheggi di Goti e Vandali, le terme rimasero almeno parzialmente in uso fino al 537, quando le armate di Vitige tagliarono gli acquedotti (lo stesso Belisario, del resto, ne murò gli accessi attraverso le mura per impedire al nemico di penetrare segretamente in città). L'area termale e dintorni subirono poi il destino della grandissima parte dei monumenti romani, utilizzati nei secoli come cava di materiali edili anche di pregio da riutilizzare per altre costruzioni, mentre le aule venivano adibite a vari usi privati e perfino come luogo di doma dei cavalli. Particolarmente grave fu l'opera di distruzione perpetrata alla fine del XVI secolo, vennero demoliti i resti nella zona del calidarium rapportabili a circa centomila metri cubi di materiale. Altri sventramenti vennero poi eseguiti per l'apertura di piazza dei Cinquecento, di piazza della Repubblica e per alcune delle strade circostanti finché, solo agli inizi del Novecento, si cominciò a provvedere ad opere di restauro e consolidamento di ciò che rimaneva.

Le rovine mantenevano però un'innegabile imponenza, che richiamò ed ispirò gli artisti dal Quattrocento in poi.

Costruita nel 1888 su progetto di Alessandro Guerrieri che attorno alla grande vasca circolare pose quattro leoni di gesso; questi vennero poi sostituiti nel 1901 dai quattro gruppi di bronzo dello scultore Mario Rutelli. Le Naiadi erano le ninfe delle acque, apportatrici di fecondità e di ristoro e protettrici del matrimonio: la naiade dei laghi riconoscibile dal cigno che tiene a sé, la naiade dei fiumi sdraiata su un mostro, la naiade degli oceani in sella su un cavallo simbolo del mare, e la naiade delle acque sotterranee poggiata sopra un drago misterioso. Al centro si trova il gruppo del Glauco realizzato in secondo tempo nel 1912, simboleggiante il dominio dell'uomo sulla forza naturale; prima che venisse scolpito il Rutelli aveva collocato al centro della fontana tre tritoni con un delfino e un grosso polipo, tutto quel groviglio di pesce fu subito soprannominato, dai romani «er fritto misto» (che attualmente si trova in una fontana di Piazza Vittorio, sul fianco del ninfeo dell’Acqua Giulia). Il risultato finale scosse l'opinione pubblica dell'epoca: quattro giovani figure femminili rilucevano al sole in pose assai lascive, completamente nude i cui corpi, bagnati dall'acqua proveniente dalla fonte dell'acqua Marcia che fuoriusciva da un grosso getto alle loro spalle. Inizialmente la fontana era circondata da una cancellata, una misura protettiva che all'epoca veniva adottata per molti monumenti. Ciò non scoraggiava frotte di giovanotti che si radunavano in questo luogo al solo scopo di ammirare le formose Naiadi. L'ala conservatrice, fedele al vecchio governo del papa, si batté non poco per farle rimuovere, in nome della morale e della decenza. Proprio per le polemiche suscitate, la fontana entrò anche tra i temi trattati negli stornelli der Sor Capanna, il popolare cantastorie romano del primo novecento: «C'è a piazza de le Terme n'funtanone che no'scultore celebre ha guarnito co' quattro donne ignude a pecorone, e n'omo n'mezzo che je fa da marito. Quant'è bello quer gigante Iì tra n'mezzo, cor pesce n'mano annaffia a tutte quante er deretano».

Mario Rutelli, il mio bisnonno e la Fontana delle Naiadi

estratto dell'intervista di Paolo Mattei a Francesco Rutelli  (30/01/2015 fonte italianways.com)


«Me lo figuro così: un ragazzino di dodici anni, arrampicato su pericolose impalcature, che scolpisce i triglifi del fregio del Teatro Massimo di Palermo…». Con questa immagine Francesco Rutelli – romano, classe 1954, ex sindaco di Roma dal 1993 al 2001, nonché ministro della Cultura e vicepresidente del Consiglio dei Ministri dal 2006 al 2008 – inizia a parlare del suo bisavolo, lo scultore palermitano Mario Rutelli. Il pronipote ci accoglie nel proprio ufficio nel quartiere Prati e si lascia gentilmente interrogare intorno alla figura del bisnonno (Palermo, 1859-1941). Conosce dettagliatamente la vita di questo artista siciliano

«di molto talento, che, dopo aver lavorato per il padre, la cui impresa costituiva quella che era probabilmente la principale fabbrica del Mediterraneo in quegli anni, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Palermo, lo studio di Giulio Monteverde a Roma e quello di Auguste Rodin a Parigi».

È un fiume in piena, il discendente di Mario Rutelli. Ha una vera passione per la storia del suo illustre avo,

«Che Federico Zeri ebbe addirittura a definire, parlando con me, “il più grande fonditore dopo Benvenuto Cellini”. Ricevo spesso segnalazioni di sculture attribuite alle sue mani e ho raccolto un archivio molto ampio di sue opere che non sono state né pubblicate né studiate».

Onorevole Rutelli, ci parli della realizzazione della Fontana delle Naiadi di Roma

«Ha una storia particolare. Pio IX aveva già fatto edificare una “mostra” dell’Acqua Marcia abbastanza banale, che fu inaugurata nel 1870, una decina di giorni prima della presa di Porta Pia. Era situata presso la Stazione Termini e Palazzo Massimo».

Poi che cosa accadde?
«Dopo la caduta del potere temporale della Chiesa si incominciò a progettare la nuova Roma. Così nel 1888, si decise di ricostruire quella “mostra” nella piazza in cui si trova oggi. Il progetto prevedeva delle vasche concentriche e la sistemazione decorativa di quattro leoni egizi. Ma occorreva qualcosa di particolarmente scenografico».

Perché?
«Perché quello era il moderno ingresso nell’Urbe. Per secoli, chi giungeva a Roma da nord, percorrendo la Francigena, scopriva la città da Monte Mario. Chi proveniva da sud, seguiva la via Appia antica, trovandosi sullo stesso tracciato calcato da san Paolo di cui si narra negli Atti degli Apostoli. Ma nella Roma moderna si poteva arrivare in treno e quindi scendere a Termini.

Così, bisognava immaginare in quella zona qualcosa di molto impattante e innovativo. Piazza dell’Esedra – oggi piazza della Repubblica –, progettata da Gaetano Koch, si affacciava, e si affaccia, sulla grande strada della modernità capitolina, via Nazionale, percorsa dalle carrozze e poi dalle prime automobili dirette verso il Quirinale, piazza Venezia, il Campidoglio. Pertanto c’era bisogno di una fontana anche urbanisticamente importante».

Così, Mario Rutelli vince il concorso per la progettazione del monumento.
«Sì. Io ho, tra l’altro, il contratto originale che inizialmente prevedeva la possibilità che il lavoro fosse fatto in marmo: venticinquemila lire, in due rate… La fontana è pronta per l’inaugurazione dell’8 febbraio 1901, ma questo non avviene perché in consiglio comunale ci si scanna sulla sua licenziosità: quelle donne nude in bronzo all’ingresso di Roma, oltretutto in posture “sconvenienti”, qualche anno dopo avrebbero meritato anche l’attenzione “lirica” del famoso stornellatore Sor Capanna, che, quando venne sistemato il gruppo centrale del Glauco, in occasione del Cinquantenario dell’Unità d’Italia, dedicò al monumento dei divertenti versi con espliciti doppi sensi».

Quindi l’inaugurazione è sospesa per questioni di buon costume…
«La fontana, come accennavo, è pronta ma non viene inaugurata. Le sculture sono considerate da alcuni come assolutamente scandalose. In consiglio comunale c’è un dibattito infinito. All’ostruzionismo dei clericali contrari alla sua apertura si contrappone il tifo dei modernisti per questo simbolo della nuova Roma di cui, tra l’altro, non si può godere a causa di una palizzata che ne preclude la vista…».

Addirittura…
«Mia nonna raccontava sempre che la regina Margherita di Savoia, passando una notte nella piazza, fece fermare la carrozza, sbirciò attraverso la cancellata e, tornata nell’abitacolo, esclamò: «Il y a des grandes coupoles!».

Poi, che cosa succede?
«Un giorno, alcuni studenti, stufi della situazione di stallo, vanno a prelevare Mario Rutelli nel suo albergo, distante poche centinaia di metri. Dopo averlo portato in trionfo nella piazza, convincono il custode responsabile dell’Acqua Pia Antica Marcia, la società che aveva in gestione la fontana, ad aprire i rubinetti e dare il via ai giochi d’acqua. Poi smantellano la recinzione. Insomma, un’inaugurazione a furor di popolo».

Qualche anno dopo ci fu l’aggiunta del gruppo centrale…
«Sì, in due fasi. Il gruppo del 1911, molto criticato e impopolare, fu subito rimosso e spostato dove si trova ancora oggi, nei giardini di Piazza Vittorio. I romani lo avevano battezzato “il fritto misto di Termini” per la bizzarra composizione: tre tritoni, un delfino e un polipo avvinghiati in una singolare lotta. Poi nel 1912 si arrivò al gruppo definitivo».

Quello del Glauco e del delfino…
«Sì. E qui c’è una piccola curiosità. Il volto della divinità marina ha le fattezze di quello di Trilussa. Me lo ha raccontato mio padre, si trattò di un omaggio al grande poeta romanesco con cui il mio bisnonno faceva alcune delle famose “gite fuori porta” che accomunavano gli artisti dell’epoca».

Tutto è bene quel che finisce bene. Le polemiche sulla sconcezza dell’opera si spensero subito dopo l’inaugurazione?
«Diciamo che alle polemiche si sostituì per un po’ un certo silenzioso malessere da parte di qualcuno. Fu sempre mio padre Marcello a raccontarmi un altro divertente aneddoto. Frequentava l’Istituto Massimo, vicino a piazza della Repubblica, e poiché nella struttura non c’era una palestra, nell’ora di educazione fisica lui e i suoi compagni di classe erano costretti a uscire da scuola. Ebbene, il religioso che li accompagnava durante il tragitto, quando passavano in fila indiana davanti alla fontana, ordinava a tutti loro di voltare le teste dalla parte opposta. Mio padre in cuor suo se la rideva pensando alle modelle che avevano girato per casa e ai tanti bozzetti dell’opera che aveva a disposizione ogni giorno…».

Utilizzò delle modelle…
«Più esatto dire che prese ispirazione da alcune professioniste. Il mio bisnonno era ritenuto un dongiovanni; a un certo numero di signore avrebbe lasciato credere di essere state muse ispiratrici, dando così a ciascuna un motivo di soddisfazione personale. In realtà si tratta di volti anonimi».

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