IL RACCONTO DELLA MISURAZIONE DEL TEMPO A ROMA di Claudio Di Giampasquale

Sin dall'antichità l'esigenza di misurare il trascorrere dei periodi di luce e di buio era sentita non poco dall'uomo che civilizzandosi calcolò il movimento del sole misurando la lunghezza dell'ombra proiettata da un palo verticale, applicando le regole della geometria piana o della trigonometria. Rispetto ad altre civiltà, solo due secoli dopo la nascita dell'urbe i romani cominciarono a confrontarsi matematicamente con la misurazione del tempo. Così gli antichi solarium (meridiane e obelischi) usati dai babilonesi, dai greci, dagli egizi e dai sumeri assunsero anche a Roma grande rilevanza, dato che erano gli unici strumenti in grado di fornire una sufficiente misura per regolare la vita quotidiana nei diversi periodi della giornata. I luminari della città eterna definirono la prima fase del «tempus antemeridianum» fino alla fase più alta dell'ascesa del sole sull'orizzonte che coniarono col termine «merìdie» (l'odierno "mezzogiorno"). Per poi passare alla seconda fase che definirono «tempus pomeridianum». Porzionarono queste due fasi «in horas» ("di ora in ora" calcolando e definendo la"hora" come unità di misura di tali periodi) lo fecero esattamente come mostra la tabella qui di seguito:

Per la cronaca, sembrerebbe che la prima meridiana nella città eterna sia comparsa nel duecentosessantaquattro avanti Cristo, come riportano le narrazioni di Gaio Plinio Secondo (Plinio il Vecchio) nel suo capolavoro la "Naturalis historia" e che: «Il primo misuratore solare del tempo ad arrivare a Roma giunse dalla colonia greca di Katánē (antico nome di Catania) e fu installata nel Foro, presso i rostri. Ma essendo stata importata dal mondo greco non era tarata correttamente per la latitudine dell'urbe ed era quindi imprecisa». Secondo lo scrittore, la meridiana continuò a misurare il tempo in modo errato, finché soltanto un secolo più tardi fu adattata a Roma.

Ma torniamo alla misurazione del tempo nel senso più assoluto. Per i romani la durata delle horae di luce era assai variabile tenendo conto che dall'equinozio di primavera al periodo soleggiato a fine giugno (solstizio estivo) vi erano circa quindici ore, ma a fine dicembre (solstizio invernale) la luce durava solo nove ore. Di conseguenza vi era una diversa concezione del tempo in relazione alle stagioni e le meridiane romane avevano una struttura basata su linee relativa agli equinozi e ai solstizi.
Per ragioni militari, il periodo di buio della giornata
«noctis» era suddiviso in quattro «vigiliae» relative ai turni di guardia delle sentinelle. Anche i periodi di luce «dies» vennero suddivisi secondo lo stesso schema in altrettanti periodi: «hora tertia», «hora sexta», «hora nona» e «hora duodecima» o "vespera".
Inoltre, per effettuare atti di
«chrònosmètron» (specifica misurazione di un lasso di tempo) i romani introdussero l'uso della «clepsydra» strumento che consisteva essenzialmente in un cilindro di vetro "strozzato al centro" (a mo' di sovrapposizione di due ampolle collegate da una fessura) contenente acqua o sabbia che lentamente, in base alla dimensione della «sectionis» (minuscola misura del foro di collegamento) si vuotava dall'alto verso il basso indicando il trascorrere del tempo in relazione all’abbassamento del livello di sostanza contenuta. Questo inequivocabile sistema serviva non tanto a conoscere l'ora assoluta, quanto a fissare il tempo trascorso rispetto a un momento iniziale. Veniva particolarmente usato nei «tribunalèm» dove il tempo concesso al «patronus» per il discorso a tutela del suo «cliens» era appunto predeterminato e detto «oratĭo» (a "protezione") questo atto era denominato «patrocinium». Le clepsydrae poi potevano essere usate al chiuso, di notte, e in presenza di nuvole.

La tipica giornata dei romani veniva scandita con un sistema di rapida successione di determinate attività a seconda del trascorrere delle ore. Nelle case dei più facoltosi tenere il computo del tempo e annunciare le ore era responsabilità della servitù e tale abitudine proseguì nei secoli. A Roma i pianeti influenzavano le proprietà del tempo determinandone la qualità, tale associazione rendeva una certa ora adatta a una specifica preghiera o a un culto verso un particolare dio. Vi erano pianeti che sovrintendevano agli affari, altri ai sentimenti, e così via. La prerogativa di azione veniva scandita con un sistema di rapida successione di diverse possibili attività a seconda del trascorrere delle horae.

Secondo la tradizione, il calendario romano fu istituito da Romolo il fondatore nel 753 a.C. e subì diverse modifiche nel corso dei secoli, venendo infine sostituito circa settecento anni dopo da un nuovo almanacco di calcolo promulgato da Gaio Giulio Cesare. La riforma capita e introdotta da questo pontefice massimo, uno dei personaggi più importanti e influenti della storia, pose termine all’irregolarità del mese lunare, consentendo di avere un anno solare di trecentosessantacinque giorni (virgola venticinque). Un riordino che per rispettare il corso delle stagioni risolse il problema del quarto di giorno (sei ore), che avanzava ogni anno, attraverso l’introduzione dell’anno bisestile. Nacque così il Calendario Giuliano.

Pochi anni dopo Ottaviano Augusto fondatore dell'Impero romano e primo imperatore fece edificare nel Campo Marzio un grande monumento nel nucleo di un vasto spazio rettangolare di circa quattro metri per settantacinque, orientato da nord a sud, un area pavimentata in travertino, sulla quale vennero tracciate le indicazioni dei giorni di calendario con listelli di bronzo. Utilizzò come "gnomone" (nella sua accezione astronomica questo termine indica la parte dell'orologio solare che proietta la propria ombra su un piano) un grande obelisco egiziano in granito rosso dell'altezza di circa trenta metri, prelevato dalla città di Eliopoli. L'Horologium Augusti conosciuto anche come «Meridiana di Augusto» imponente strumento di grande precisione per l'epoca, celebrava dal punto di vista politico la conquista romana dell'Egitto da parte dello stesso Augusto. L'area fu distrutta, devastata e saccheggiata durante il Medioevo. L'obelisco, recuperato nel Rinascimento fu posizionato al centro di Montecitorio.

Nell'antica Roma venne anche importato dalla Grecia un particolare strumento idraulico realizzato nel terzo secolo avanti Cristo dallo scienziato Ctesibio. Era un orologio ad acqua che teneva conto della durata variabile delle ore in diversi momenti dell'anno. Un meccanismo di alimentazione a sfioramento produceva un flusso costante d'acqua che si riversava in un contenitore cilindrico, all'interno del quale vi era un galleggiante che reggeva un indicatore che scorreva lungo una colonnina graduata su cui erano segnate le ore.

Nella parte inferiore del contenitore cilindrico c'era un'apertura collegata a un alto sifone che si riempiva. L'acqua estratta faceva ruotare una ruota divisa in sei raggi, che a sua volta era collegata tramite ingranaggi al cilindro, in modo tale che compiva una rotazione intera in 365 giorni, mostrando giorno per giorno la scala graduata delle ore corrispondente al mese e al giorno corrente. I fori di fuoriuscita dell'acqua dai contenitori erano realizzati in oro per evitare le incrostazioni.

Nel medioevo e nel Rinascimento per riferirsi alle varie fasi della giornata venne assunto il carattere di "ora canonica" sempre suddivisa in otto periodi liturgici denominati «mattutino», «lodi», «prima», «terza» «sesta», «»nona, «vespri» e «compieta» che non coincisero più coi turni militari della Roma antica. La tecnica dei misuratori del tempo progredì molto, sia di quelli ad acqua e sabbia così come quelli che sfruttavano l'ombra dei raggi solari.

Vennero costruite molte altre meridiane, soprattutto dopo la riforma gregoriana del calendario alla fine del sedicesimo secolo.

Tra le più conosciute vi è quella di piazza San Pietro dove vi è un obelisco come indicatore dell’ombra. Intorno ad esso, oltre alla linea metallica con i vari regoli, è disegnata sul pavimento una rosa dei venti con ovali marmorei inseriti nel pavimento che mostrano folate rappresentate da volti che soffiano nelle varie direzioni, una di queste suggestive facce sul selciato indicata dalla  scritta "west ponente" ha ispirato lo scrittore Dan Brown nel suo romanzo “Angeli e Demoni”.

L’obelisco fu voluto a Roma dall’imperatore Caligola che lo fece prelevare da un sito dell'antica città egizia di Heliopolis sulla sponda orientale del Nilo. Caricato a bordo di una «naves onerarius» (ampia nave mercantile) ormeggiata lungo il delta del grande fiume africano, fu trasportato via mare verso Roma  insieme a un prezioso carico di legumi. Giunto al porto di Ostia (antica) venne sbarcato e caricato su una «naves caudicariae» per risalire il Tevere verso il «Forum Iulii»  per poi essere destinato al «Circo di Caligola» poi intitolato al successore Nerone (area dove secoli dopo sorse lo Stato Vaticano).  Quando il circo cadde questo monolite fu l’unica struttura a rimanere in piedi in quella stessa grande area ove secoli dopo il pontefice Giulio II, mercoledi 18 aprile 1506 diede inizio ai lavori di costruzione della chiesa più importante della cristianità. Ottant'anni dopo papa Sisto V, ritenendolo perfetto, lo volle al centro della grande piazza abbracciata dal colonnato appena edificato dal genio di Gian Lorenzo Bernini. Per collocarla e innalzarla nell'esatto punto di mezzo, il pontefice incaricò l'architetto Domenico Fontana. L’operazione non fu facile ed impegnò novecento operai, centoquaranta cavalli, quarantaquattro argani. Quando giunse il momento di innalzare, lo si iniziò ad issare con tutta la forza disponibile. Quando il monolite iniziò a sollevarsi, arrivato all'altezza della base, all'improvviso alcune funi iniziarono a sfilacciarsi per la troppa tensione facendo temere un destino catastrofico per l'impresa che venne bloccata di colpo per diminuire la sollecitazione delle gomene.

Ci fu il panico, non era il caso nè di allentare nè di continuare a tirare. Fu in quel momento che un uomo tra i "tiratori" iniziò ad urlare: «Acqua alle Corde! Acqua alle Corde!» era l’urlo di Giovanni Bresca proveniente dalla "Serenissima Repubblica Marinara di Genova" che essendo pratico di corde per il suo lavoro, sapeva che bagnandole, queste si sarebbero ristrette e avrebbero smesso di cedere. Immediatamente, l’architetto Fontana, sconvolto, ascoltò il consiglio ed organizzò una squadra di arrampicamento sulle alte assi di sostegno per far bagnare le funi in tensione. Così dopo questa "grande paura" il monolite fu riaddrizzato e l’impresa riuscì. Da quel preciso momento, per tutte le epoche a venire, è lì nel ruolo di «custode della cristianità».

A Roma oggi sono ancora visibili diversi altri misuratori del tempo solari tra cui la meridiana nella Basilica di Santa Maria degli Angeli; quella nel convento di Trinità dei Monti; quella a Palazzo Spada; quella di Villa Borghese nel "Casino della maridiana" a pochi passi dal suggestvo «Orologio ad acqua del Pincio»  ideato nella seconda metà del diciannovesimo secolo dal frate ingegnere Giovanni Battista Embriaco, quest'opera  funziona grazie alla presenza dell’acqua che cadendo dall’alto riempie due vaschette di pietra allungate a mo' di foglioline in bilico su un perno che oscillando attivano un singolare meccanismo che fa girare le lancette di un orologio sovrapposto. Questo inusuale antiquato macchingegno è un vero e proprio monumento che si inserisce armonicamente nel contesto naturale dell'immenso parco di Villa Borghese.

Ma torniamo, facendo un salto indietro nel tempo, alla storia della misurazione del tempo a Roma. Con la diffusione del cristianesimo dal terzo secolo dopo Cristo, la nascita delle tante chiese fece sì che le stesse divenissero un punto di riferimento per la percezione dello scandire delle varie fasi del giorno. Da allora nel corso dei secoli nella città eterna sono state edificate oltre novecentotrenta chiese che ne fanno la città più ricca al mondo. Le chiese romane per mezzo delle loro campane e campanili, con la loro secolare storia ed attraverso la fede nella religione cattolica, hanno guidato non poco l'evoluzione sociale ed artistica nonché hanno espresso ed esprimono i sentimenti del popolo di Cristo quando: "esulta" e quando "piange", quando "rende grazie" o "eleva suppliche", e quando, riunendosi nello stesso luogo "manifesta il mistero della fede e unità verso Gesù Cristo".

Va detto che a quei tempi "il mezzogiorno" era ancora considerato un riferimento puramente astronomico, infatti la cittadinanza contava le ore del giorno dall'ultima funzione religiosa, che si teneva ad un'ora prefissata in tutte le chiese della città.

Tale funzione, chiamata nei rioni "Avemmarìa" fungeva da riferimento per il resto della serata e per il giorno seguente quindi vi era l'espressione "a ventun'ora" che significava letteralmente a ventuno ore dall'Avemmaria quindi nel pomeriggio del giorno dopo. Le cose venivano complicate dal fatto che la preghiera serale nelle diverse stagioni (da estate a inverno) veniva differita di un'ora ed era uno dei maggiori problemi dell'ora romana.

Quando finalmente sulle facciate delle chiese maggiori e degli edifici pubblici cominciarono a comparire gli orologi, alcuni di essi avevano il quadrante diviso in sole sei ore per dividere il giorno in "ore canoniche" durante le quali dovevano essere recitate determinate preghiere. Le campane suonavano fino a dodici volte e le ore erano contate fino a mezzanotte. Ad esempio, alla ventunesima ora (cioè verso le sedici in estate) l'unica lancetta del quadrante avrebbe segnato III (tre) e si sarebbero uditi nove tocchi di campana. Di questi misuratori del tempo"orologi matti" così detti dai romani ne sono rimasti pochissimi tra cui quello del Palazzo del Commendatore in Santo Spirito in Sassia la cui lancetta è rappresentata da una lucertola; e quello sul torrino del Quirinale (tocca la foto)

Il duecentocinquantacinquesimo pontefice di Roma papa Pio IX passò definitivamente alla cosiddetta "ora francese" ma indispettito dal fatto che le campane delle chiese, a mezzogiorno, non suonassero contemporaneamente «l'Angelus Domini»  di mezzodì ossia i rintocchi che annunciavano ai romani che era giunta l’ora di sedersi attorno al desco o comunque di sospendere per un momento il lavoro e consumare il pasto (in quanto i sagrestani ogni volta ne sbagliavano i tempi, non essendo tra loro sincronizzati)  ebbene per dare un "riferimento esatto" a tutte le chiese, da mercoledi 1 dicembre del 1847 al posto del disarmonico rintoccare delle campane introdusse quella che diventerà una delle tradizioni più care ai romani: «lo sparo del cannone» inizialmente da Castel Sant'Angelo e poi spostato in cima a Monte Mario altura che sorge nell'area nord-ovest di Roma che con i suoi centotrentanove metri d'altezza è il rilievo più alto.

Con la conquista della città eterna da parte del Regno d'Italia e la sua proclamazione a capitale, lo sparo a salve di mezzodì comunque continuò ogni giorno, tuttavia dopo non molto tempo, si decise di avvicinarlo di più al centro. Così da domenica 24 gennao 1904 l'immancabile consuetudine della "cannonata" fu disposta a ora di pranzo dal Gianicolo, colle prospiciente la riva destra del Tevere, col cannone puntato dalla pendice orientale che digrada verso il fiume sul rione storico di Trastevere.

Non si ha notizia del tipo di cannone usato dallo Stato Pontificio. Dal 1904 fu utilizzato il cannone campale da settantacinque millimetri impiegato dall'Artiglieria del Regno d'Italia per aprire la Breccia di Porta Pia.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, il cannone smise di sparare, per riprendere a segnare il mezzodì dei romani in occasione del duemilasettecentododicesimo anniversario della fondazione della città. Era martedi 21 aprile 1959. Da allora dalla cima del colle Gianicolo, esattamente dalla piccola piazzola militare più in basso della terrazza panoramica sotto il monumento equestre dell'eroe dei due mondi rivolto verso l'urbe, tutti "i santi giorni": che ci sia pioggia, sole, caldo, freddo, neve o afa, a mezzogiorno in punto, il cannone esplode uno sparo a salve impartito ai presenti militari del reggimento addestrativo del Comando Artiglieria dell'Esercito italiano. Un colpo che rimbomba netto oltre il Tevere udendosi forte fino all'opposto colle Esquilino.

Il cannone della presa di Roma venne poi sostituito da un obice della Prima Guerra Mondiale, ma anche questo smise di sparare il 1 febbraio 1991 per essere sostituito dall'attuale cannone che fu impiegato durante la Seconda Guerra Mondiale.

In passato, l'Osservatorio del Collegio Romano inviava il segnale di esecuzione agli artiglieri mediante una sfera che cadeva dal tetto della prospiciente chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio, spettava a una vedetta munita di binocolo individuare l'esatto istante in cui la palla precipitava e dare il via alla cannonata. Ormai da anni, il segnale arriva via telefono.

Martedi 23 Aprile 1959 ecco il filmato che testimonia il primo giorno di ripristinato del botto del cannone del Gianicolo dopo la Seconda Guerra Mondiale

Con l'avvento dell'orologio meccanico in occidente anche a Roma questo strumento entrò in uso, inizialmente sui campanili delle chiese e su diversi monumenti rappresentativi. Tale strumento sin da subito divenne il rappresentante più autentico della filosofia della vita politica ed economico-commerciale. Quando la città divenne capitale, l'orologio meccanico contribuì ad introdurvi valori nuovi come la precisione e l’efficienza. Da essere presente e di riferimento in cima a grandi edifici, presto si "ridusse" per entrare nei palazzi, nelle case e poi finanche nelle tasche e al polso dei romani.  Complessi meccanismi basati su molle e spirali facevano muovere con regolarità gli ingranaggi e le rotelle, in un equilibrio perfetto che non poteva arrestarsi. Gli orologi divennero sinonimo di una cultura che traduceva in denaro il tempo, e di conseguenza in tariffe. Se nella campagna romana la giornata lavorativa sarebbe stata scandita ancora per qualche decennio dalle ore di luce, all'interno dell'urbe la concezione del tempo iniziò a mutare con l’arrivo di uno strumento che sia dall’alto delle torri dei rioni o al proprio cospetto vegliava sulla vita e ne scandiva i ritmi, il lavoro, la vita.

Come ad esempio da Castel Sant'Angelo su cui fino agli anni Trenta del novecento ce n'erano tre: uno era collocato sopra la Loggia di papa Giulio II di fronte al Tevere (foto sopra) mentre gli altri due erano montati sui lati del Terrazzo delle Corazze.