LA BOMBA DI VIA RASELLA

LA BOMBA DI VIA RASELLA  di Claudio Di Giampasquale

Via Rasella è una strada tra i palazzi non molto larga, in discesa. Collega via delle Quattro fontane di sopra nei pressi di piazza Barberini, con via del Traforo di sotto il colle Quirinale. Una via come tante del centro di Roma, se non fosse famosa per l'attentato dinamitardo contro i soldati tedeschi che causò molti morti e innescò la rappresaglia delle Fosse Ardeatine che costò la vita a centinaia di Italiani. Questo atto di guerriglia urbana fu un'azione della Resistenza romana condotta giovedì 23 marzo 1944 dai Gruppi di Azione Patriottica (GAP).


Rosario Bentivegna, partigiano del Gruppo, accese la miccia e si allontanò. La bomba esplose a metà passaggio della colonna del 11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment "Bozen", appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d'ordine) e composto da reclute altoatesine.

Rimasero uccisi all'istante nell'esplosione trentadue giovani soldati tedeschi, un altro morì più tardi per le ferite riportate. Contemporaneamente, altri 3 partigiani attaccarono il fondo della colonna lanciando bombe a mano e fuggirono. Persero la vita nell'esplosione anche due civili italiani (tra cui il dodicenne Piero Zuccheretti), mentre altre quattro persone caddero sotto il fuoco di reazione dei soldati. 


La reazione nazista fu terribile e immediata, dopo velocissime consultazioni tra i comandi tedeschi, inclusi il quartier generale in Italia del feldmaresciallo Albert Kesselring ed il quartier generale di Hitler a Berlino, si stabilì che dovevano essere immediatamente rastrellati e uccisi 10 italiani per ogni soldato tedesco morto.

Scattarono subito in azione le forze armate germaniche stanziate nella Capitale che sotto gli ordini di Herbert Kappler comandante della polizia segreta e della Gestapo a Roma con i capitani delle SS Erich Priebke e Karl Hass, in collaborazione col questore di Roma Pietro Caruso (che a seguito degli stessi fatti venne a fine conflitto processato, condannato a morte dall'Alto Commissario per la punizione dei delitti fascisti Mario Berlinguer - papà di Enrico - e fucilato a Forte Bravetta) selezionarono le vittime tra i prigionieri detenuti a Regina Coeli che erano stati quasi tutti arrestati per motivi politici, insieme ad altri che, o avevano preso parte ad azioni della Resistenza, o erano semplicemente sospettati di averlo fatto oppure per futili motivi. Aggiunsero al gruppo già scelto per il massacro anche 75 persone di appartenenza religiosa ebraica.

Il primo pomeriggio del giorno dopo, venerdì 24 marzo 1944, il plotone nazista giustiziò 335 italiani all'interno delle antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, che originariamente facevano parte del sistema di catacombe cristiane. L'eccidio avvenne a 23 ore dall'attentato e fu reso noto solo a esecuzione avvenuta.

Quando le vittime vennero radunate all’interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che ne erano state selezionate erroneamente 335 invece che le 330 previste dall’ordine di rappresaglia. Le SS però decisero che rilasciare quei cinque prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell’azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri.

I poveri sventurati furono condotti all’interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Già prima di raggiungere il luogo dell’esecuzione, i nazisti avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone: agli agenti incaricati dell’eccidio venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di spararle da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni. I prigionieri all’interno delle anguste cave furono obbligandoli a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, vennero uccisi poi uno a uno con un colpo alla nuca. Durante la carneficina, i militari nazisti cominciarono a obbligare le vittime a inginocchiarsi sopra i cadaveri di quelli che erano già stati uccisi per non sprecare spazio. Quando l'immane scempio ebbe termine, venne ordinarono ai soldati del genio di chiudere l’entrata delle fosse facendola saltare con l’esplosivo, uccidendo così chiunque fosse riuscito per caso a sopravvivere e seppellendo allo stesso tempo i cadaveri.


L'azione dell'atto terroristico in via Rasella che causò una talmente terribile reazione fu compiuta da una dozzina di gappisti della Resistenza romana (tra cui Carlo Salinari, Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna e Carla Capponi). Dell'ordine, dopo la guerra, se ne assunse la responsabilità Giorgio Amendola, e a sua detta fu scelta come data simbolica il 23 marzo, in quanto anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento.


L'attentato di via Rasella è stato al centro di una lunga serie di controversie (anche in sede storiografica) sulla sua opportunità militare e legittimità morale, che lo hanno reso un caso paradigmatico della «memoria divisa» degli italiani. In effetti non aveva un palese valore “militare”, essendo le vittime dei riservisti altoatesini senza il ruolo di combattenti.

Implicava invece dei rischi per la popolazione civile (tra cui un ragazzino) e la certezza di una dura rappresaglia nazista.

Fu oggetto di valutazioni diverse: sul piano del diritto internazionale bellico è stato giudicato, da tutte le corti militari britanniche e italiane che hanno processato e condannato gli ufficiali tedeschi responsabili delle Fosse Ardeatine, un atto illegittimo in quanto compiuto da combattenti privi dei requisiti di legittimità previsti dalla IV Convenzione dell'Aia del 1907.

Sul piano del diritto interno italiano è stato invece considerato, in tutte le sentenze emesse sul caso da giudici civili e penali, un atto di guerra legittimo in quanto riferibile allo Stato italiano, allora in guerra con la Germania.

Tale riconoscimento di legittimità ebbe luogo, secondo l'interpretazione di alcune sentenze al riguardo proposta da alcuni autori, in forza di una legislazione successiva al compimento dell'attentato.


Il carretto con l’esplosivo davanti al portone del numero civico 20 di via Rasella, predisposto con il detonatore aspetta l’arrivo del convoglio dei militari tedeschi mentre altri membri del GAP si preparano

Giovedì 23 marzo 1944 ore 16.00 - Herbert Kappler, il comandante della Gestapo a Roma arriva in via Rasella; mentre gli altri gerarchi nazisti ritornano al comando tedesco, gli viene affidato il compito di indagare sull’esplosione

Alle Fosse Ardeatine fu uccisa Roma perché lì dentro le venne straziata una parte intera della città con i suoi diversi mestieri, con le diverse condizioni sociali, con i “resistenti” di ogni parte politica e sociale, con gli ebrei, gli uomini giovani e vecchi, i ragazzi. E ancora un prete, generali, ufficiali dei carabinieri e carabinieri semplici, contadini, professionisti, operai, commercianti, soldati e alti ufficiali dell’esercito, della marina e dell’aviazione, uomini della polizia, piccoli artigiani, un cantante lirico, uomini di spettacolo tranvieri, proletari dei quartieri popolari, avvocati, intellettuali, bottegai, qualche nobile. Insomma, la Roma di ieri, di oggi e di domani. Erano cattolici, comunisti, socialisti, ebrei, appartenenti al Fronte militare di Resistenza, “azionisti”, uomini di “Bandiera Rossa”, antifascisti, partigiani appena catturati, semplici sospettati di essere avversari del regime. Dunque, il mondo composito di Roma, la Capitale del Paese. Non erano colpevoli di nulla e non avevano certo partecipato alla vile azione militare di via Rasella. Furono soltanto le vittime sacrificali della inaudita furia vendicativa nazista contro una città che di loro non ne voleva sapere più.

A Roma, nel maggio del 1948, Herbert Kappler fu condannato all’ergastolo. Il 15 agosto del 1977 la fuga dall’ospedale militare del Celio, a Roma, con il ritorno in Germania. Era comunque malato di cancro e la morte lo raggiunse poco dopo.


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