GLI U2 E IL TERREMOTO IN VIALE TIZIANO di Claudio Di Giampasquale

La mattina di mercoledì 27 maggio 1987 una marea di ragazzi romani si ritrovarono accalcati davanti al terminal degli aerei privati di Ciampino ad attendere l'arrivo degli U2 che atterrarono intorno alle tredici a bordo del loro jet proveniente dall'aeroporto di Gatwick. Appena dieci giorni prima, dopo circa un mese e mezzo di tournée serrata, avevano concluso alla Meadowlands Arena nel New Jersey il loro «The Joshua Tree american Tour» negli States. Piccola pausa di riposo in Irlanda a Dublino per David Howell Evans (Bono Vox), Adam Clayton, Larry Mullen e a Londra per David Howell Evans (The Edge). Poi via! Ad iniziare il tour europeo che prevedeva trenta concerti in 23 città. Prima tappa a Roma quella stessa sera allo stadio Flaminio.
Fu notevole la disponibilità che Bono, The Edge, Larry Muller e Adam Clayton ebbero con molti di quei giovani, firmando autografi prestandosi per scatti fotografici. Poco dopo li salutarono e mentre Bono gridava loro un sorridente: «see you tonight!», scortati, salirono a bordo di una grande auto scura che imboccò la via Appia verso il centro città.
Avevano da poco pubblicato il loro quinto album in studio intitolato appunto "The Joshua Tree" che comprendeva pezzi del calibro di "With or Without You", "Pride (In The Name of Love)" ed altri diciassette straordinari capolavori.
I biglietti erano sold-out da mesi, quarantasettemila persone tra poche ore avrebbero invaso Roma nord. Ragazzi provenienti da ogni parte d'Italia, moltissimi senza biglietto, cercando di posizionarsi in zona per poter almeno ascoltare, per emozionarsi. Dal primo pomeriggio una massa inaudita di giovani col biglietto in mano spingeva ai cancelli per prender posto davanti al palco.
Gli U2 arrivavano nella città eterna all’apice del successo, della creatività, della forza espressiva, dell’energia. Erano in grado di trasformare tutto questo in musica e in magia pura. Magia che arrivava semplicemente in modalità acustica dalla loro arte: strumenti e voce che valicavano il muro del suono per arrivare in una zona della creatività completamente inedita, mescolando rock, elettronica, ricerca, passione, divertimento e impegno. Erano tra i pochi gruppi in quel momento storico, dopo i mostri sacri degli anni settanta, a dare un senso al rock guardando dritto davanti, prendendo forza dalle radici, puntando rigorosamente verso il nuovo. Non c’era nulla di intellettualmente forzato, non c’era solo un progetto, c’era una musica che ti entrava dritta nell'anima, al cuore, in una condivisione che la notte di quel mercoledi romano venne amplificata dalla conca del Flaminio in maniera straordinaria, dando ancor più forza ed energia alla voce di Bono.
Ma facciamo un passo indietro, solo il set iniziale dei gruppi spalla valeva il prezzo del biglietto: i Lone Justice di Maria McKee, i Big Audio Dynamite di Mick Jones (ex chitarrista dei Clash) e i Pretenders di Chrissie Hynde. Poi il tramonto romano, la sera, i riflettori accesi. Giunse l'ora, si spensero le luci, ed ecco l’inizio che consegnò alla storia quel concerto. Partirono le tastiere, partì "Where the streets have no name", partì il basso di Adam Clayton che fece tremare la struttura dello stadio. Al termine del pezzo il potente saluto di Bono con
«Hello Roma, questo posto è grande, ma noi e voi siamo più grandi».
Fu poi la volta della magnifica
«I Still Haven't found what I'm looking for» proposta 'a manetta' al massimo dei decibel. Seguita sempre al massimo sonoro dall'incalzare dell'aspro ritmo di
«Bullett the blue sky». Attaccarono poi le frequenza basse di"With or without you"
e a seguire tutte le altre perle della band in un crescendo sempre più potente di voce e note spinte dai centomila watt dell'impianto della band irlandese e dalle vibrazioni prodotte dai quarantasettemila giovani presenti. Una combinazione che fece tremare oltre che le fondamenta dello stadio anche le finestre e i muri dei palazzi di tutto il quartiere Flaminio. A viale Tiziano diversi vetri 'creparono' alcuni addirittura andarono in frantumi. Anche le ville dei Monti Parioli sussultarono. Allarmati molti cittadini residenti nelle zone fecero squillare all'impazzata i centralini delle forze dell'ordine e dei vigili del fuoco inondandoli di proteste. Le forti polemiche proseguiranno per non poco tempo a seguire:
«quel dannato complesso aveva esagerato senza rispetto! Era un chiasso disumano, un terremoto!»
Ma un vero terremoto sì che ci fu. Avvenne quella notte dentro i cuori dei ragazzi presenti al Flaminio, fu "un sisma di emozioni" in quella bolgia a nord della città. Un piccolo stadio (rispetto all'Olimpico) che in quella magica notte romana sembrò molto più grande, nel contenere quelle quarantasettemila anime dentro la leggenda di una serata memorabile. Vissuta da tutti, nessuno escluso, in un'ininterrotta e indimenticabile estasi "coreutica". Dalla prima all'ultima nota tutti insieme in un oceano uniforme di braccia in alto ad applaudire senza interruzione, trascinati dal ritmo. In una un'esperienza semplicemente grandiosa.
Estratto dal podcast a cura di Roberto Balducci, testo di Marco Gubbini, voce di Roberto Balducci

