DONNA OLIMPIA MAIDALCHINI: LA PAPESSA di Claudio Di Giampasquale

Fu una delle donne più potenti e controverse della Roma del diciassettesimo secolo. In qualità di cognata e stretta consigliera di Papa Innocenzo X esercitò un’immensa influenza sul Vaticano, navigando nella politica, nella ricchezza e nel potere in un’epoca in cui nella città eterna vigeva un sistema sociale ove gli uomini detenevano in via esclusiva il potere nella società, tanto nella sfera domestica, quanto in quella pubblica. Le donne erano raramente viste in posizioni di autorità. La storia di donna Olimpia detta anche «la pimpaccia» è fatta di ambizione, di intelligenza e di manovre strategiche che la rendono una delle figure più affascinanti della storia romana.

Questo racconto narra la vita di una donna che rappresentò la quintessenza dell'avidità: furba, presuntuosa e spregiudicata, un'autentica arrampicatrice sociale. Qualcuno la ribattezzò «la papessa» perchè anche se in Vaticano sedeva suo cognato Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj) donna Olimpia fu la vera padrona dell'urbe. Diceva Pasquino: «Pé chi vole quarche grazia dar sovrano, aspra e lunga è la via der Vaticano. Ma se è persona accorta corra da donna Olimpia a mani piene e ciò che vuole poi l'ottiene». Un'altro soprannome «la pimpaccia» derivava dalla storpiatura del nome "Pimpa" il personaggio femminile di una commedia con cui donna Olimpia condivise il carattere di "donna fatale" dominatrice e arrivista. Di detrattori ne ebbe in abbondanza ma la "papessa" rispondeva sempre: «Ar cavallo bestemmiato j'ariluce er pelo». Insomma, nella Roma seicentesca, prima d'arrivare al papa bisognava prima rivolgersi a donna Olimpia anche soprannominata "la porta der Vaticano", una soglia che, a detta dei popolani «s'apriva solo se "unta" con una congrua somma di denaro».


Le umili origini

Olimpia Maidalchini nacque a Viterbo martedi 26 maggio 1592, ultimogenita del capitano Sforza Maidalchini, funzionario della dogana pontificia, e della nobildonna Vittoria Gualtieri. I Maidalchini erano una modesta famiglia con pochissimi mezzi e risorse finanziarie, il capitano non poteva permettersi di pagare le eventuali doti matrimoniali delle tre figlie e decise di lasciare l'intero patrimonio al suo unico figlio maschio, destinando la progenie femminile alla vita consacrata. La giovane Olimpia trascorse la prima infanzia nel convento di San Domenico di Viterbo, dove nel frattempo presero i voti le sorelle maggiori Orsola e Margherita Vittoria. Ricevette un'educazione assai approssimativa e compensò le lacune culturali facendosi scudo di un caratteraccio da bambina e adolescente decisa, capricciosa e dispotica. Nel 1608 a sedici anni venne ritenuta pronta per entrare in convento,

in provincia inizia la sua scalata sociale

La vita monastica non entusiasmava Olimpia e la ragazza si ribellò alla famiglia e s'impose sul volere paterno. Fu così che Sforza Maidalchini cedette alla ribellione della figlia accettandone il rifiuto. La ragazza gli chiese di voler contrarre un matrimonio vantaggioso, e così la diede in sposa al ricco proprietario terriero Paolo Nini ultimo erede di un'importante famiglia di Viterbo. Le nozze furono per Olimpia la grande occasione per vivere nel lusso, ma il contesto fu comunque quello della nobiltà di provincia, una soluzione che ancora non soddisfaceva la sua grande ambizione personale. La fortuna le sorrise ma attraverso una serie di dolorose sventure: perse in pochi anni sia il marito che i due figli che aveva dato alla luce subito dopo il matrimonio. Senza alcun erede legittimo tutta la fortuna della famiglia Nini passò nelle sue mani. A soli ventun'anni Olimpia era una ricca vedova con un patrimonio che faceva gola a molti,

la città eterna E POI NAPOLI

Ad aggiudicarsi la sua mano fu il cinquantenne Pamphilio Pamphilj esponente di una nobile e prestigiosa famiglia romana con problemi di liquidità, che la sposò nel novembre del 1612. L'unione matrimoniale fu per entrambi una manna dal cielo: Pamphilio finalmente poteva risollevare le finanze del casato. Olimpia ora aveva pieno accesso alla vita mondana di Roma. I novelli sposi si stabilirono nel palazzo Pamphilj in piazza Navona e donna Olimpia fece amicizia con il cognato Giovanni Battista nella cui carriera ecclesiastica la donna intravide il passo successivo della sua scalata sociale. «La pimpaccia» investì per ciò un sacco di soldi in feste, salotti e ritrovi culturali, invitando sempre ai suoi eventi personaggi di spicco degli ambienti vaticani presentandoli al fratello del marito. Contatti, amicizie o semplici relazioni di facciata potevano far comodo in vista del futuro. E i primi risultati arrivarono nel 1621 quando Giovanni Battista Pamphilj venne nominato "nunzio apostolico" di Napoli dove si trasferì insieme a suo fratello Pamphilio e consorte. Lunedi 21 febbraio 1622 donna Olimpia diede alla luce Camillo, l'erede dei Pamphilj, e approfittò del soggiorno partenopeo per intensificare le frequentazioni con la gente che conta.

RITORNO A ROMA e L'INGRESSO NELLE PIU ALTE SFERE del potere

Nel 1625 tornò a Roma con il marito, nacque un'altra figlia femmina la seconda dopo Anna Maria Flaminia la primogenita venuta al mondo sei anni prima. Ovviamente rimase strettissima confidente del cognato che sotto il pontificato di Urbano VIII divenne vescovo, cardinale e infine Vice Camerlengo del Collegio cardinalizio. Nel 1639 «la pimpaccia» restò vedova di Pamphilio e il cognato la incaricò d'amministrare le risorse familiari in qualità di matriarca del casato.
Alla morte di Urbano VIII gli sforzi di donna Olimpia diedero i loro frutti e nel Conclave del 1644 Giovanni Battista Pamphilj venne eletto al soglio di Pietro con il nome di Innocenzio X. Ebbe così inizio la storia della «papessa di Roma».
Grazie al cognato pontefice di cui era un'intima amica e confidente, addirittura amante secondo le malelingue dell'epoca, Olimpia portò a compimento la scalata sociale intrapresa da ragazzina e finì per ricoprire un ruolo d'assoluta centralità nella vita politica della città eterna. Chi aveva bisogno di un'udienza o una raccomandazione dal Santo Padre doveva rivolgersi a lei e munirsi di denaro perchè «la pimpaccia» era avida e spregiudicata:
«olim pia, nunc impia» che tradotto dal latino suonava: «un tempo devota, adesso empia» così recitò questo gioco di parole comparso sulla statua parlante di Pasquino.

L'ENORME POTERE E LE CONCESSIONI DEL PAPA

L'importanza di Olimpia Maidalchini presso la corte pontificia fu chiara sin dal principio. Appena eletto, Innocenzio X fece deviare il corteo della "cerimonia del possesso", anche detta "cavalcata papale", per passare di fronte al palazzo Pamphilj e impartire la benedizione alla nipotina Olimpiuccia la figlia di Anna Maria Flaminia la primogenita del defunto fratello: al fianco della bambina c'era la cinquantaduenne nonna donna Olimpia, che da uno dei balconi osservava il popolo con manifesta superiorità.

«La pimpaccia» divenne l'ombra del cognato, gli faceva visita ogni giorno, l'affiancava nelle cerimonie pubbliche, s'intrometteva negli affari interni dello Stato della Chiesa e addirittura aveva lo scandaloso vizio d'introdursi abitualmente dentro gli appartamenti vaticani. A Innocenzio X questa situazione non dispiaceva e pur di rafforzare la posizione della famiglia prese con sè il nipote Camillo che ricevette la prestigiosa nomina a "cardinal-nipote".
Il popolo si fece sentire e in un'immaginario dialogo tra Pasquino e Marforio un'altra statua parlante di Roma, questi gli chiese:
«A Pasquì che vieni dar Vaticano?» gli rispose: «Sì» chiese ancora Marforio: «Ma che per caso hai visto er Papa?» rispose ancora Pasquino: «No, era inutile! Ho veduto la sóra Olimpia». E ancora in un'altra "pasquinata" si lesse: «Chi dice donna, dice danno. Chi dice femmina, dice malanno e rovina. Chi dice Olimpia Maidalchini, dice donna, malanno e rovina».

Gli sfottò della Roma popolare "lasciarono il tempo che trovarono" e comunque «la Pimpaccia» continuò dritto per la sua strada continuando a dispensare "benefici ecclesistici e pontifici" incassando mazzette. Non solo, la scaltra Olimpia sfruttò le casse dello Stato Pontificio per restaurare e abbelire palazzo Pamphilj che, come scrisse un cronista dell'epoca: «viene guardato dalla plebaglia con occhio avido, come da iena affamata che vede il cadavere con cui potrebbe sfamarsi».
Nel 1645 il cognato pontefice le donò le terre di San Martino al Cimino e la nominò "feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona". Donna Olimpia non se lo fece ripetere due volte e usò i fondi papali per restaurare l'abbazia del borgo e realizzare varie strutture pubbliche.

LE RIVALITà IN FAMIGLIA E LA MALATTIA DI INNOCENZIO X

Il 7 gennaio 1647 suo figlio Camillo rinunciò al cardinalato e manifestò ai familiari la volontà di sposare Olimpia Aldobrandini principessa di Rossano e ricca erede di un'importantisima casata nobiliare. La notizia prese alla sprovvista sia lo zio che la madre che decisero di non partecipare alle nozze celebrate il successivo 10 febbraio.
Donna Olimpia non aveva molte simpatie per la nuora omomima, avrebbe preferito che Camillo si fosse imparentato con la potente famiglia Barberini e lo stesso Innocenzio X era risentito per la scelta del nipote, cui impose una sorta di domicilio forzato a Frascati. Nello stesso anno il Papa ripiegò su un'altro "cardinal-nipote" il diciassettenne Francesco Maidalchini figlio del fratello maggiore di donna Olimpia e indisse un concorso per la costruzione di una fontana a piazza Navona. Leggenda vuole che per battere la concorrenza del rivale Francesco Borromini, il genio partenopeo Gian Lorenzo Bernini si sia rivolto alla "Pimpaccia" e le abbia regalato un modellino in argento alto circa un metro e mezzo della futura "Fontana dei Quattro Fiumi". Erano anni che donna Olimpia era la padrona assoluta di piazza Navona e i rapporti con il popolo che non la amava erano divenuti ancora più tesi quando a lei venne l'idea bizzarra di far togliere tutte le bancarelle e arredare l'intera piazza come un grande salotto a cielo aperto. Piazza Navona era un luogo molto frequentato e amato dalla gente romana di ogni ceto sociale. Pasquino protestò:
«Antro ché salotto, statue e fontane! Er pane volemo. Pane, pane, pane! Santo Padre non più puttane. Pane, pane, pane!».

Intanto la nuora Olimpia Aldobrandini rimase incinta e, agli inizi del 1648 abbandonò Frascati per tornare a Roma sotto la pretezione dei Farnese. Suor Agata sorella di Innocenzo X fece da tramite per sanare i dissidi familiari e il 24 giugno la Aldobrandini partorì Giovanni Battista il nuovo erede Pamphilj. Il Papa fu tanto felice per il lieto evento che perdonò e richiamò a Roma il nipote. Ebbe così inizio la grande rivalità tra le due Olimpie di casa.

Ma la «la pimpaccia» non voleva essere seconda a nessuno e lo stesso Innocenzo X sembrava che le opponesse di proposito la Aldobrandini a sua volta nota per un carattere forte e deciso, ciò al fine di limitare l'arroganza della cognata. Un tentativo che fallì miseramente, donna Olimpia senior la spuntò anche sulla nuora e durante il Giubileo del 1650 presenziò accanto a Innocenzio X alla cerimonia di apertura della Porta Santa. Fu l'ultimo evento pubblico prima della rottura.

Il papa era sempre alla ricerca di un "cardinal-nipote" migliore di quello in carica che fosse all'altezza delle sue aspettative. Decise quindi di ripiegare su Camillo Astelli imparentatosi alla lontana con «la pimpaccia» poichè il fratello ne aveva sposato la nipote Camilla Maidalchini. In un primo momento donna Olimpia prese Astelli sotto la sua ala protettiva e gli finanziò la carriera ecclesiastica. Ma quando il pontefice lo scelse e lo creò "cardinal-nipote"pensò bene altresì di adottarlo e concedergli in usofrutto il palazzo Pamphilj. Donna Olimpia non gradì assolutamente, andò su tutte le furie e passò al contrattacco, ma il cognato le rispose a tono e le revocò la facoltà di disporre dei beni di famiglia. «La pimpaccia» allora da donna intelligente qual'era battè in ritirata chiudendosi nei suoi appartamenti privati in attesa di tempi migliori. La riconciliazione con Innocenzo X arrivò nel marzo del 1653, sia per intercessione di suor Agata, sia per la caduta in disgrazia dell'odiato "cardinal-nipote" Astelli.

Donna Olimpia tornò di nuovo nelle grazie di Sua Santità e riprese il vecchio ruolo di «papessa». In concomitanza a un suo breve soggiorno nel viterbese, il cognato pontefice decise di farle un grande regalo ossia di trasformare San Martino al Cimino in un principato, elevando «la pimpaccia» al rango di principessa.
Purtroppo il papa era diventato anziano e malato cronico. Di conseguenza la scaltra «papessa» incominciò concretamente a pensare al futuro, cioè a quando il Soglio di Pietro sarebbe tornato vacante. Fu così che decise d'imparentarsi con la potente famiglia Barberini. Nel giugno del 1653 la giovane nipote Olimpiuccia andò in sposa al principe di Palestrina Maffeo Barberini.

LA MORTE DEL COGNATO PONTEFICE E LA CADUTA DELLA PAPESSA

Le condizioni di Innocenzio X s'aggravarono sul finire del 1654. «La papessa» intensificò le sue visite in Vaticano per assicurarsi quanti più benefici possibili prima della morte del cognato. I cardinali s'accorsero della situazione e la interdirono dal capezzale del Santo Padre che si spense la mattina di giovedi 7 gennaio 1655 dopo una lunga agonia.
All'apertura del Conclave «la pimpaccia» potè contare sull'appoggio dei Barberini, credendo d'avere abbastanza influenza per imporre al papato un candidato di suo gradimento . Ma l'intero collegio cardinalizio non la voleva più tra i piedi e quindi preferì voltare pagina ed esautorare quella scomoda e spregiudicata donna che da quasi mezzo secolo stava lucrando sul Vaticano.
Il 7 aprile "fumata bianca":
«habemus papam». Per «la pimpaccia» fu "fumata nera" anzi "nerissima" perchè il neoeletto Alessandro VII era Fabio Chigi ex Segretario di Stato del cognato e suo acerrimo oppositore. Il nuovo pontefice non perse tempo e la esiliò subito da Roma. Donna Olimpia Maidalchini fece i bagagli e portò con sè tutte le sue ricchezze e si ritirò a San Martino al Cimino dove due anni dopo, mercoledi 26 settembre 1657, si spense stroncata dalla peste. Aveva sessantacinque anni.
Nove anni dopo a Ginevra venne stampato e tradotto in varie lingue il libello satirico
"Vita di Donna Olimpia Maidalchini" in cui trovarono ampia diffusione vecchie maldicenze come ad esempio la sua presunta relazione con Innocenzio X e nuovi aneddoti. Si disse che da adolescente «la pimpaccia» accusò di molestie sessuali il suo monaco precettore per evitare il convento. E che gestì un traffico di prostituzione. E che trafugò denaro e tesori dal Vaticano. Inoltre che nell'esatto momento in cui i cardinali trasferirono la salma di Innocenzio X si fiondò nella camera del Papa per prendere due casse colme d'oro, nascoste sotto il letto del pontefice, per poi fuggire a rotta di collo in carrozza nella notte. Ovviamente sono tutte storie prive di fondamento che Alessandro VII fece circolare con cinismo e senza problemi.

LA LEGGENDA DEL FANTASMA DI DONNA OLIMPIA

Dal punto di vista storico Olimpia Maidalchini non fu una persona immacolata e in molti la temettero. Una donna che sapeva muoversi disinvoltamente nella Roma patriarcale del Seicento. In una città dove la storia, ieri oggi e domani, ha pervaso, pervade e pervadrà ogni strada e ogni pietra. Dove il sacro e il profano si mescolano in continuazione. Alcune delle figure storiche che l’hanno popolata in vita si narra che ancora oggi lo facciano in forma di spirito o fantasma. Leggenda, fantasia o realtà? Queste presenze occulte dalla vita tormentata, la cui anima è rimasta intrappolata tra il mondo dei vivi e quello dei morti, si racconta che certe notti vaghino nei rioni e nei luoghi che le videro protagoniste. Lo spirito della «papessa» è uno di questi fantasmi: vox popoli narra che ogni 7 gennaio, nell'anniversario della morte del cognato pontefice, a notte inoltrata mentre tutti dormono e solo poche persone girovagano nel cuore di Roma nella nottata successiva alla fine delle feste di fine anno, il fantasma di donna Olimpia compaia a bordo d'una carrozza spettrale stracolma d'oro e tesori, e che dopo aver scorrazzato per il lungo e per il largo nel centro di Roma si diriga poi verso ponte Sisto dove i cavalli la trascinano nelle acque del Tevere facendola scomparire fra i flutti del sacro fiume. Se la doveste incontrare ricordatevi di munirvi di denaro e ricordate che: «la papessa ci'ha er braccio corto pè dà e 'na mano aperta pé avè».