COLA DI RIENZO

COLA DI RIENZO: IL TRIBUNO DI ROMA di Mario Sanfilippo

Gloria e sventura di un «figlio del popolo» ai vertici del potere tra intrighi misteriosi e cruente lotte baronali nella Roma comunale del trecento. Rimasto nella storia perché, nel tardo medioevo, tentò di instaurare nella città straziata dai conflitti tra il popolo e i baroni una forma di amministrazIone diversa.

Nicola di Lorenzo, abbreviato in Cola di Rienzo, nasce in via di San Bartolomeo dé Vaccinari 87 nel rione Regola nella primavera del 1313. La sua famiglia è «dè vasso lennaio» ossia di bassa estrazione: il padre Lorenzo è un taverniere e la madre Maddalena sfruttando la vicinanza del fiume vive «de lavare panni e acqua portare», due attività classiche in una città a quel tempo priva di acquedotti, dove oltre a quella dei pozzi è fondamentale l'acqua del Tevere, perché il fiume domina la vita cittadina in modo incredibile rispetto a oggi. La storia di Roma nella prima metà e per gran parte della seconda metà del XIV secolo, è una storia poco conosciuta per la scarsità delle fonti d'archivio e per l'esistenza di una sola cronaca mutila, quella dell'«Anonimo Romano». Di conseguenza l'avventura di Cola di Rienzo è una pagina affascinante ma poco documentata e l'unico modi di «leggere»  la vita di Cola è quella di calcarla nella vita della città.

Nei primi decenni del Trecento, i diciotto chilometri della cerchia muraria abbracciano circa 1400 ettari, ma gran parte di questa superficie è costituita da prati, vigneti, orti e rovine abbandonate. La popolazione dalle 50/30.000 persone del tempo di Bonifacio VIII sta scendendo ad uno dei minimi storici. All'interno o poco fuori della cinta aureliana ci sono vari «isolotti» abitati al Laterano, a San Paolo, nel rione Monti, intorno ai principali monasteri e conventi. La zona abitata densamente si concentra nell'ansa del Tevere tra il Campidoglio e Castel Sant'Angelo.

In questi decenni Roma è una città caratterizzata dalle torri. Le torri sono i capisaldi degli insediamenti baronali in città: tutte le grandi famiglie di stampo feudale o assimilate, hanno organizzato i loro palazzi come campi trincerati intorno alle torri e ai residui dei grandi monumenti d'età romana. Dopo la partenza per Avignone della Curia pontificia, la scena politica urbana è dominata dagli scontri tra le famiglie baronali. Non per nulla la famiglia di Cola di Rienzo come tante altre famiglie del «popolo minuto» romano si è dovuta schierare con i Savelli: tra Monte Savello e la Regola il passo è breve e la scelta di campo è facilmente comprensibile.

Dalla metà del precedente secolo XIII, però, la scena politica si era andata complicando per la progressiva crescita di ceti emergenti cittadini, specialmente artigianali e mercantili, che spingono per partecipare alla gestione del potere cittadino. In pratica i «bovattieri» (mercanti e imprenditori di campagna), i «cavallerotti» (i ranghi minori dell'aristocrazia cittadina), i mercanti veri e propri si alleano con gli artigiani, con i piccoli imprenditori, con i prestatori e banchieri, con il ceto intellettuale (giuristi, giudici, notai, scribi, ecc.) capace di far funzionare le istituzioni civiche, formando un blocco sociale delle grandi famiglie baronali.

Federico Faruffini, “Cola di Rienzo contempla le rovine di Roma”, 1855

Mentre Cola di Rienzo cresce, a Roma è in atto una grande trasformazione economica, sociale, politica: i ceti emergenti cittadini scoprono che i capitali mobiliari possono fruttare, anche nelle campagne, in modo più redditizio di quanto non abbiano saputo fare le famiglie baronali. Inoltre queste ultime sono prive del loro vero referente politico data l'assenza da Roma della Curia pontificia; mentre il nuovo schieramento cittadino ha un punto di riferimento preciso nel movimento comunale d'Italia centro-settentrionale.

Sul piano privato, Cola di Rienzo rimasto orfano di madre ha la fortuna che un parente del padre ad Anagni gli permette un'ottima istruzione. Ritornato a Roma sposa la figlia di un notaio e diventa lui stesso un notaio, facendo un salto notevole nella scala sociale.

Oltre all'istruzione personale specifica, Cola ammassa una profonda conoscenza dell'antichità. Legge e traduce agevolmente poeti e storiografi latini, epigrafi antiche e testi giuridici romani.

Scrive correttamente in latino, tanto in prosa che in versi. In definitiva è uno dei primi umanisti. crede fermamente nell'imitazione e nel recupero dell'esperienza di Roma antica, per superare la situazione tragica della città trecentesca non più capitale di un impero, non più il centro della Cristianità.

Cola di Rienzo è un intellettuale assetato di rinnovamento e diventa la «voce del popolo» che contesta il dominio baronale. Nel 1342 la pressione popolare sfocia nella costituzione di un nuovo governo cittadino. Cola è scelto come ambasciatore presso il papa Clemente VI per difendere il nuovo regime e per chiedere facilitazioni economiche: come la concessione di un nuovo Anno Santo per il 1350, contravvenendo all'idea dell'anno giubilare ricorrente ogni secolo. Ad Avignone Cola ha successo personale presso il papa, ma le famiglie baronali hanno i propri esponenti nel collegio cardinalizio e riescono a farlo cadere in disgrazia.

Cola è testardo e rimane ad Avignone fino all'estate del 1344; nel frattempo diventa amico del Petrarca, ottiene l'appoggio dello stesso cardinale Giovanni Colonna, è nominato da Clemente VI notaio della Camera Capitolina. Ha saputo mettere a frutto la sua eloquenza e cultura; forse ha puntato a farsi catalogare da qualche avversario come un sognatore innocuo.

Di ritorno a Roma, Cola si inserisce nelle lotte cittadine come un leader. Ora l'eloquenza pubblica gli serve per denunciare le prepotenze baronali. Cementa il blocco popolare facendo prendere coscienza ai ceti produttivi che i loro interessi concreti richiedono una gestione del potere nettamente contraria alle famiglie baronali. Denuncia le ingiustizie del regime feudale. Si attira insulti, percosse, sberleffi. Gli avversari però sottovalutano una sua dote eccezionale, il raffinato conoscitore di testi latini è un grande manipolatore politico e anticipa i da-ze-bao del XX secolo, sfruttando i dipinti allegorici e usando un linguaggio visivo semplice facilmente percepibile da un popolino analfabeta.

In questi anni 1344-1347 tra il ritorno da Avignone e la conquista del potere, Cola di Rienzo elabora un progetto politico totale. Al programma di riforma del comune romano in chiave anti-baronale accompagna quello del rilancio di Roma come effettiva depositaria del potere imperiale, nella visione più letteraria che politica, mutuata dall'amico Petrarca, di una Italia libera e unita. Nel maggio del 1347 Cola si impadronisce del potere, nel rispetto formale della sovranità pontificia. In pochi giorni emana una serie di provvedimenti riformatori che tendono a decapitare la potenza baronale. Riorganizza la milizia comunale e la riscossione delle tasse, distruggendo i grandi privilegi. In campo giudiziario pretende che la legge sia uguale per tutti. Contro l'usuale violenza, connessa con il modo di vita militare e feudale, impone che tutti gli omicidi siano puniti con la morte. Così fa giustiziare pubblicamente Martino di Porto discendente dagli Stefaneschi e dagli Annibaldi e imparentato con i Colonna, gli Orsini e i Malabranca. Infine impone che ogni ferita e offesa sia composta simbolicamente e pacificamente, per porre fine alla catena delle vendette. Adesso gli antichi dissidi delle famiglie baronali giocano a favore del tribuno, spaccando lo schieramento baronale stesso. Molti Orsini insieme ai conti e ai Malabranca, accettano il nuovo stato di fatto, tanto che Cola mette a capo dell'esercito comunale Giordano e Nicola Orsini. 

Fino all'agosto del 1347 dura il «periodo magico» di Cola di Rienzo che stringe ottimi rapporti con le città del Lazio nella lotta comune contro le grandi famiglie come i Prefetti di Vico, i Caetani, i Colonna. Il trentaquattrenne tribuno raccoglie intorno a sé l'unanimità dei consensi civici. La sua formazione umanistica gli permette di elaborare l'immagine e il funzionamento concreto di un regime politico coerente agli interessi economici del nuovo blocco sociale: d'altra parte tanto Cola e i suoi seguaci, che gli avversari, sanno che il conflitto politico è l'espressione di una lotta di classe, dello scontro di due contrapposti modi di vita.

Ma la cultura di Cola è una cultura libresca e vi sono insiti due punti deboli: la mancanza di esperienza nel governo degli uomini e la sottovalutazione della forza militare. La potenza baronale è un retaggio antico legato all'esercizio militare, perpetuatosi per generazioni e generazioni. Il nuovo regime è legato alla spinta dei nuovi ceti emergenti che sono privi di forza militare.

Cola di Rienzo, a parte la megalomania, le incertezze psichiche con frequenti momenti di depressione, crede di risolvere le difficoltà romane allargando l'orizzonte politico all'Italia e all'Impero. Crede di poter piegare la spada con i sermoni. È un grande attore e un grande comunicatore, ma è anche un impolitico che rimane invischiato nel mito di Roma, nell'idea imperiale dell'Urbe. Con una martellante propaganda visiva (stendardi, dipinti, processioni simboliche, cerimonie) ed epistolare, Cola concede la cittadinanza a tutta l'Italia. Rivendica a Roma e all'Italia il diritto di nominare l'imperatore. Vieta a qualsiasi principe di scendere in Italia alla testa di un esercito e vieta di usare ancora una volta il solo nome dei partiti guelfo e ghibellino. Infine propone che 24 «seniori» o delegati italiani e romani eleggano un imperatore italiano, per realizzare l'unità d'Italia; questa parte retorica più che utopica del suo programma maschera una velleitaria fuga in avanti. È sintomatico che il tribuno arrivi a pensare che l'uso della forza militare possa essere vietato per legge. 

Dopo l'addobbamento a Cavaliere dello Spirito Santo il 15 agosto del 1347, Cola di Rienzo si fa incoronare sul Campidoglio con differenti corone: dai diversi significati simbolici laici e religiosi. Ma le sue dichiarazioni sul diritto di nominare l'Imperatore e sull'autonomia del potere civico romano, scatenano la reazione del papa Clemente VI. Così si mette in moto la diplomazia ecclesiastica che gioca a tutto campo; e Cola stesso «offre armi al nemico». Il 14 settembre durante un banchetto in Campidoglio fa arrestare Stefano Colonna, poi i due senatori di Roma (la vecchia carica civica di nomina papale) e vari baroni. Il giorno successivo finge che ci sia l'esecuzione capitale degli arrestati, poi «magnanimamente» perdona i colpevoli e nei giorni che seguono celebra il tutto con una messa solenne e con una grande processione.

Cola di Rienzo ha perso il contatto con la realtà cittadina, è isolato rispetto ai suoi stessi seguaci i quali non accettano quella componente istrionica del suo carattere che spesso prevale sulle altre. Con notevole mancanza di gusto vanta di essere figlio dell'imperatore Arrigo VII, che avrebbe avuto un fugace rapporto sessuale con sua madre. Soprattutto non si rende conto che uomini d'arme, come i Colonna, non possono ingoiare un rospo simile. Infatti tutte le famiglie baronali di spicco e nemiche dichiarate di Cola, si ritirano nei loro possedimenti, rafforzano le fortificazioni, iniziano a «dare il guasto » intorno a Roma fino a Porta San Giovanni.

Il 20 novembre Cola ha ancora una fortuna incredibile. L'idiozia tattica e l'arroganza del giovane Giovanni Colonna a Porta San Lorenzo provoca una strage dell'esercito dei Colonna e di altri baroni. Le forze del Tribuno non inseguono i nemici e non eliminano le basi della potenza avversaria. Cola consacra il figlio con il sangue di Stefano Colonna e si limita alle solite manifestazioni verbose. La sua inazione scoraggia i suoi seguaci che sono già scontenti della sua mania di grandezza, per lo sconsiderato tenore di vita, per la vacua teatralità dei suoi interventi, perché non provvede più ai loro interessi concreti. Inoltre il grano scarseggia e il popolo minuto è affamato. 

Alla fine Cola di Rienzo è sconfitto dalla sua stessa depressione psichica e il 15 dicembre, senza nessun pericolo effettivo, si rifugia dentro Castel Sant'Angelo, rinunciando al suo potere. Gli stessi avversari non credono a tanta pusillanimità e rientrano in città soltanto dopo tre giorni.   

Due sentenze del legato pontificio (dicembre 1347 e febbraio 1348) lo scomunicano e invalidano tutti gli atti del suo tribunato. Cola di Rienzo fuggito a Napoli, torna a Roma ed è imprigionato a Castel Sant'Angelo dal quale fugge nel settembre successivo in seguito alla peste.  Si rifugia fino al 1350 sulle montagne abruzzesi e sulla Maiella frequenta i fraticelli spirituali Francescani e Celestini, assorbendo il loro profetismo escatologico nell'attesa dell'era dello Spirito Santo. 

Nel 1350 Cola si reca a Praga presso la corte dell'imperatore Carlo IV per convincerlo che deve essere lui a restaurare il regno di Dio in Terra. Ma Carlo IV, abile politico, lo ascolta e lo prega di scrivere una relazione dettagliata. Poi lo fa arrestare per tenere buono Clemente VI. Però non lo consegna al papa, che ha scomunicato l'ex tribuno e neppure denuncia i propositi di Cola in odore d'eresia. Ad Avignone rimane incarcerato per oltre un anno. Nel frattempo la commissione cardinalizia che deve esaminare le accuse contro di lui lo assolve dall'accusa di eresia. 

Nel dicembre del 1352 muore Clemente VI. Il nuovo papa Innocenzio VI vuole l'effettivo dominio dello Stato della Chiesa e si convince che Cola può riportare l'ordine a Roma, dove lo scontro tra popolari e baroni è senza tregua. Così nel settembre del 1353 Cola di Rienzo è liberato ed inviato in Italia e presta servizio, come cavaliere, presso il legato pontificio il Cardinale Gil de Albornoz, il ricostruttore dello Stato Pontificio. 

Poiché la situazione romana non migliora, de Albornoz decide di ascoltare il pontefice e, benché ne diffidi, nomina Cola di Rienzo senatore di Roma. Il primo agosto del 1354 il neoeletto senatore fa ingresso trionfale nella città eterna. L'antico tribuno raccoglie di nuovo il consenso popolare, ma si comporta come qualsiasi magistrato di nomina papale. Non parla più di politica italiana e imperiale. È più energico nella lotta conto i baroni, specialmente i Colonna, ma è sempre oscillante nei suoi atteggiamenti. Per di più è diventato un accanito bevitore. 

Anche in questa seconda parte della sua avventura al potere, Cola di Rienzo sperpera rapidamente il favore civico, imponendo nuove gabelle e tasse indirette , mostrando segni di squilibrio mentale. Così l'8 ottobre del 1354 scoppia una sommossa popolare provocata dai Colonna e tra l'indifferenza generale Cola viene travolto dagli eventi. Cerca di fuggire travestito, è catturato e massacrato. I Colonna fanno appendere il suo corpo mutilato vicino al loro palazzo per due giorni. Il terzo giorno, il suo corpo venne arso in un falò di cardi secchi.

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