Chiesa di Santa Bibiana

Chiesa di Santa Bibiana  di Claudio Di Giampasquale

Situata nel Rione Esquilino, la piccola Chiesa di Santa Bibiana è seminascosta tra le gigantesche strutture della Stazione Termini, esattamente in via Giovanni Giolitti al civico 154. Quest’antico luogo di culto ha resistito al progressivo incedere della modernità, mimetizzandosi con l'attuale contesto a tal punto che un distratto passante, così a colpo d’occhio lo potrebbe scambiare per una semplice casa cantoniera. Tuttavia, nonostante si presenti come una modesta chiesetta, la struttura è dotata di due campanili con tre campane seicentesche, come altrettanto dello stesso diciassettesimo secolo sono la facciata e gli interni.

Leggenda narra che la costruzione della chiesa abbia avuto origine nella seconda metà del terzo secolo dopo Cristo nell'area degli «Horti Liciniani» per volere di Olimpina una facoltosa matrona romana convertitasi al cristianesimo, sul luogo dove subì il martirio santa Bibiana figlia di Flaviano prefetto di Roma e della nobile Dafrosa, vicino al ninfeo noto come «Tempio di Minerva Medica» ove nei paraggi al di fuori del pomerio era interrata un’antica necropoli.

Con gli imperatori Costantino prima e poi con Teodosio l’abbandono del paganesimo a favore del Dio dei cristiani divenne pratica diffusa, non soltanto tra i poveri ma anche e soprattutto tra i cittadini romani appartenenti alla ricca e potente aristocrazia, i quali, pur non rinnegando il loro nome ed il loro patrimonio di famiglia, in gran numero porsero i loro averi a disposizione delle nuove comunità cristiane.

Secondo il primo «Liber Pontificalis» invece, la chiesa di Santa Bibiana fu edificata nella seconda metà del quarto secolo dopo Cristo per volere di papa Simplicio sopra lo «Iuxta Palatium Licinianum» dove la santa fu massacrata a causa della sua fede. In effetti quell’ampia area sul colle Esquilino detta «Horti Liciniani» poiché prendevano nome dalla gens di origine etrusca che li possedeva e che espresse due imperatori Valeriano e Galerio, erano arricchiti e abbelliti a giardino con al centro una lussuosa residenza imperiale extraurbana ricordata come «Palatium Licinianum» un complesso di edifici che comprendeva sale per banchetti e piscine e che permetteva all’imperatore di ospitare l’intera corte anche e soprattutto nelle occasioni di martirio degli allora odiati cristiani. Tra l’altro, volendo imitare Nerone, nella zona sommitale degli horti, l’imperatore Galerio progettò di erigere una statua colossale raffigurante se stesso nelle vesti del «Dio Sole invitto», ma l’opera non fu mai portata a termine. Di questo complesso oggi rimane il «Tempio di Minerva Medica» di cui nessuno ancora ha ben chiaro cosa fosse veramente, probabilmente un imponente «triclinium a cupola» dell’enorme residenza imperiale, oggi ancora ben visibile dai treni che transitano per la stazione Termini: fu rinvenuto nel 1904 durante i lavori di costruzione del sottopassaggio ferroviario noto come «Arco di Santa Bibiana» in ottimo stato di conservazione, ma ora visibile solo per tre/quinti della sua estensione in quanto il resto è rimasto sotto i binari ferroviari che non potettero essere interrotti.

Papa Leone II nel settimo secolo dopo Cristo trasferì presso la Chiesa di Santa Bibiana le reliquie dei martiri Simplicio, Faustino e Viatrice dalle catacombe di Generosa. Lo stesso papa fece inoltre costruire nei pressi dello «iuxta Sanctam Vivianam» una chiesa dedicata a Paolo di Tarso, oggi scomparsa.

La chiesa fu restaurata da papa Onorio III nel tredicesimo secolo, in questa occasione il pontefice fece erigere accanto ad essa un monastero femminile che rimase lì per tutti e due i secoli a venire, sino al giubileo del 1625, quando la chiesa venne di nuovo  ristrutturata per ordine di papa Urbano VIII che decise di far abbattere quel monastero. I lavori di restauro vennero affidati al giovane Gian Lorenzo Bernini che si trovò di fronte a due gravose difficoltà: la prima dovuta all’allora scarsa esperienza in campo architettonico essendo questa la sua prima opera e la seconda dovuta al fatto che dovevano essere mantenute le stesse misure e proporzioni della chiesa preesistente. Il giovane artista venne soccorso dal suo genio e se la cavò molto bene: mantenne un rigoroso equilibrio di tipo classico con qualche accenno di prospettiva e la Chiesa di Santa Bibiana si conserverà più o meno come la vediamo oggi, salvo per la loggia superiore e la perdita dello stemma papale (stando all’illustrazione di Giovanni Battista Falda, qui di seguito, pubblicata nel 1665).

La facciata è articolata su tre campate delle quali quella centrale rimane più sporgente, suddivise nella parte in basso da pilastri con capitelli ionici inglobati nella parete (paraste) che anticipano tre archi a punto sesto; mentre l’ordine superiore separato da una robusta cornice riprende il disegno dell’ordine inferiore sostituendo agli archi una boccatura al centro con terrazza per dare profondità e alle campate destra e sinistra con una finestra ciascuna. Chiudono, il timpano centrale e le due balaustre laterali. Nel piccolo atrio che precede l’entrata si aprono tre porte , quella centrale la più grande aveva sopra lo stemma del papa ed è ornata da mascheroni.

Entrando, l’interno della chiesa si presenta a tre navate separate da quattro colonne di spoglio con antichi capitelli corinzi di età imperiale. Purtroppo non esiste più il meraviglioso soffitto affrescato e decorato da Agostino Ciampelli uno degli artisti principali della Controriforma fiorentina, ma fortunatamente sono rimasti gli affreschi sulla navata centrale dove si narra della vita di Santa Bibiana. Il ciclo degli affreschi fu affidato oltre che al maturo Ciampelli anche all’allora giovane Pietro Berrettini da Cortona che negli anni seguenti diventerà insieme al Bernini e al Borromini uno dei massimi protagonisti del barocco. Nel porticato è posta una lapide del tredicesimo secolo a ricordo della necropoli e del convento esistenti un tempo.

Gli affreschi raccontano alcuni tratti della mitica e triste leggenda della famiglia della giovanissima Bibiana. Il nucleo era composto come su detto da Flaviano e Dafrosa padre e madre e dalle due figlie Demetra e Bibiana. Tutti furono vittime delle persecuzioni contro i cristiani promulgate dal terribile imperatore Giuliano l’Apostata. Innanzitutto il padre Flaviano confessatosi cristiano, fu privato del suo prestigioso incarico di prefetto e sostituito da un certo Aproniano che odiava i cristiani perché aveva perso un occhio e attribuiva il suo incidente alle loro maligne arti ed anche per appropriarsi dei beni da essi posseduti. Flaviano venne così marcato a fuoco sul volto e sfigurato con il sigillo degli schiavi. Venne prima condannato ai lavori forzati ed in seguito posto in «exsilium ire coactusad» (esilio forzato) e trasferito con la forza a bordo di un carro ad «Aquas Taurinas» piccola località situata lungo la via consolare Cassia a circa centocinquanta chilometri dall’Urbe; lì venne brutalmente martirizzato. Le sue povere spoglie dopo anni vennero localizzate, riesumate e portate nella chiesa di Santa Maria di Montefiascone ove San Flaviano trova ancora oggi riposo eterno.

Appreso il tragico destino del papà, Bibiana, sua mamma Dafrosa e sua sorella Demetria si rinchiusero in casa pregando Gesù Cristo per la loro anima, in attesa della terribile ora che infatti non tardò ad arrivare. I soldati agli ordini del tremendo imperatore giunsero di notte per arrestarle e imprigionarle e le tre donne in religioso silenzio non opposero resistenza. Dafrosa fu decapitata pochi giorni dopo, mentre Demetria fu imprigionata e costretta a morire per estenuazione dell'organismo dovuta a totale e prolungata mancanza di luce, aria, acqua e cibo. L’unica a essere risparmiata, ma solo inizialmente, fu la giovane e bellissima Bibiana, la ragazza venne portata negli «Horti Liciniani» sul colle Esquilino all’interno del «Palatium Licinianum» e lì visse sotto lo stretto controllo di una certa Rufina incaricata, nei suoi confronti, al giornaliero compito di «mezzana» ossia educatrice e mediatrice in rapporti amorosi. Ma Bibiana rifiutò ogni giorno di piegarsi e di accettare quel compromesso che le avrebbe permesso di continuare a vivere. Le lusinghe della vita terrena non la attraevano e non intendeva vendere il proprio corpo. Si ribellò rinchiudendosi per mesi in una muta preghiera. Rufina esasperata rinunciò ad ogni velleità nei suoi confronti e così il prefetto Aproniano, che aveva sostituito il padre della giovane nella carica di governatore, decise di punirla condannando anche lei al martirio. Il 2 dicembre dell’anno 362 dopo Cristo, il martirio di santa Bibiana divenne un cinico e crudele spettacolo per gli ospiti di corte presenti nei giardini del palazzo patrizio: l'avvenente ragazza venne legata a un palo e flagellata a morte sotto i ripetuti colpi delle «plumbum funes» che erano orribili fasce di verghe rivestite di piombo. Aveva soltanto 15 anni.

Il corpo senza vita della Santa, per ordine di Aproniano venne esposto alle porte della città per essere divorato dai cani randagi, ma la leggenda narra che le sue spoglie rimasero intatte. Non molto tempo dopo la salma fu trafugata dal pio presbitero Giovanni che la notte del terzo giorno successivo dall'inizio della macabra esposizione pubblica riuscì a sottrarre il corpo incorrotto e deporlo nella vicina casa della famiglia di Flaviano. Il religioso riuscì addirittura a riunire lì anche le salme della mamma e della sorella, affidandole alla protezione di una ricca matrona romana segretamente cristiana: Olimpina, che accudì con amore e onorò i resti senza vita delle tre povere donne.

Nei pressi dell'ingresso della chiesa vi è una colonna in marmo rosso, che la tradizione attesta sia quella su cui Bibiana subì il supplizio della flagellazione con corde piombate. Essa è protetta da una grata in bronzo dorato, eseguita su disegno del Bernini

I dipinti a sinistra, di Pietro da Cortona raffigurano «La condanna a morte di santa Bibiana»; «l’Attentato della matrona Rufina alla fede della Santa»; «la Flagellazione di S. Bibiana, oltre alle figure dei Santi Flaviano e Demetria».

Lungo le pareti delle navate della chiesa sono inserite diverse tombe delle badesse dell'antico convento. Su ciascuna navata si apre una cappella: quella di sinistra fu realizzata alla fine del seicento da Vincenzo Pacetti. All'altare una pala di Giacomo Verona con Santa Geltrude in estasi. Sulla parete di destra la tomba dello stesso Pacetti, la cappella della navata di destra fu eretta nel 1702 per la famiglia Petroni, il cui stemma è al centro dell'arco di ingresso. La pala dell'altare raffigura Santi in venerazione dell'immagine della Madonna col Bambino. Sulle pareti laterali due dipinti, in cui sono raffigurati diversi santi e le effigi di due re, Leopoldo I d’Austria e Carlo II di Spagna. Tutte le opere di questa cappella sono attribuite a Girolamo Stroppa discepolo di Pietro da Cortona.

La statua di santa Bibiana dietro l'altare della chiesa è una straordinaria opera in marmo bianco scolpita da Gian Lorenzo Bernini. Grande e preziosissima attrazione di questo luogo di culto, fu commissionata da papa Urbano VIII al grande artista. Venne inserita strategicamente dentro una piccola nicchia scura per consentire ai fedeli di distinguere l'immagine della santa nell'ambito del contesto. Perciò Bernini la collocò in un ambiente distinto, precisamente sopra l'incavo contenente le reliquie della santa, di sua madre Drafusa e di sua sorella Demetria.

Questa meravigliosa scultura è avvolta in una luce più tenue rispetto al contesto, per creare un gioco di penombre in grado di dar maggior drammaticità e risalto alle sue espressioni e alle sinuose pieghe dei panneggi, rappresentando la santa nell'attimo precedente al martirio, dando massimo rilievo alla sua tensione psicologica.

È questa la prima di una lunga serie di opere a tema sacro commissionategli e il giovane genio del barocco la realizzò in maniera maestosa. A differenza però di altre opere dello scultore, in questo caso il turbamento interiore della donna non è reso con accentuate torsioni o pose dinamiche, in quanto la figura appare statica, dritta in piedi appoggiata alla colonna del martirio, con una leggera torsione del busto rispetto alle gambe, una mano aperta verso l'esterno e l'altra a tenere la palma del martirio, la testa e lo sguardo rivolti in alto, nella cui direzione, sul soffitto vi è l'immagine di Dio.

Tuttavia la drammatica agitazione di Bibiana è ravvisabile nelle increspature delle vesti scosse dal suo incontenibile sgomento, magnifico esempio di virtuosismo barocco, che in parte contrastano con la relativa compostezza della figura. La complessità dell'esperienza spirituale vissuta dalla santa è evidente anche dal suo volto, rapito in espressione mistica, che rende perfettamente il trasporto interiore della protagonista.

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