IL BOMBARDAMENTO DELLA FIORENTINI

IL BOMBARDAMENTO DELLO STABILIMENTO FIORENTINI di Claudio Di Giampasquale

Col passar del tempo diventano sempre meno le persone che ricordano il bombardamenti di Roma nella mattina di venerdi 3 marzo 1944. Quei mesi, quei giorni, la guerra investì con veemenza la capitale tra lo sgomento di chi si credeva immune, pensando che gli angloamericani non avrebbero osato distruggere la città del Papa. Cominciarono sette mesi prima, la mattina di un afoso e triste lunedi estivo, era il 19 luglio del 1943, i quartieri di San Lorenzo, Pigneto, Marranella e Tor Pignattara furono devastati e perse la vita un ingente numero di bambini, di donne e uomini d’ogni età. Non poche opere d’arte furono distrutte e la storia della città eterna fu oltraggiata dalla violenza esplosiva delle bombe. Un incubo difficile da cancellare. Dopo ripetuti bombardamenti nei mesi a seguire, anche quella mattina del tre marzo gli angloamericani tornarono a colpire. Stavolta gli obiettivi erano nei quartieri Tiburtino, Prenestino e Ostiense, zone industriali impegnate nella produzione bellica.

Sulla via Tiburtina all’altezza del civico 364, nei pressi del cavalcavia oggi via Filippo Fiorentini, nella zona di Portonaccio a portata dello scalo ferroviario, c’era lo stabilimento della famiglia Fiorentini. Fu fondata dall'ingegner Filippo Fiorentini nel 1919, per la costruzione di escavatori a cingoli sotto la licenza di una società americana di nome Bucyrus.

Da luglio del 1943 in quelle zone della città eterna, il suono sinistro d’allarme delle sirene antiaeree era divenuto troppo frequente e i bombardamenti quando accadevano sembravano incessanti, tanto che la direzione di quello stabilimento decise di tener chiusi i cancelli esterni della fabbrica, altrimenti ad ogni allarme delle sirene gli operai «se ne sarebbero scappati a casa». Quella mattina di venerdì, quando tornò a urlare l’allarme aereo, molti dipendenti della fabbrica s’affrettarono a scendere nel ricovero sotterraneo accalcandosi nello stretto e soffocante rifugio, «una buca con lamiere» senza locali frazionati, una sorta di lungo tunnel nella terra a soli tre metri di profondità. Gli esperti dell’epoca lo definivano «struttura tubolare in lamiera interrata». Metteva paura scendere lì sotto, ma la «Commissione Prefettizia di Roma» ne aveva dato l'idoneità.

Insieme agli operai si stiparono anche i dirigenti, gli ingegneri e le segretarie, in tutto circa duecento lavoratori che rimasero lì in ansia nella semiombra, in silenzio ad attendere il cessato allarme. Purtroppo quell’allarme non sbagliava, ben 184 bombardieri Martin B-26 Marauder prodotti in California, stavano per sopraggiungere sorvolando il cielo della capitale con l’obiettivo di distruggere obiettivi mirati. Erano circa le undici quando iniziarono. Le terribili esplosioni divennero incessanti e ripetitive proseguirono sempre più vicine ai dipendenti rifugiatisi nel loculo dello stabilimento della famiglia Fiorentini che era uno di quegli obiettivi strategici. Era trascorsa non più di mezz’ora dall’inizio dell’inferno, quando una bomba di oltre 200 kg colpì in pieno l’ingresso del rifugio e probabilmente altre due esplosero intorno. In un attimo il sotterraneo si trasformò in un rogo, la volta della scarna copertura collassò. Circa 186 persone persero la vita, soffocate e seppellite vive. I bombardamenti di quella funesta mattinata romana cessarono verso la mezza. Si stimò che in totale vennero sganciate quasi duemila bombe mettendo a ferro e fuoco gli snodi ferroviari e le industrie del Tiburtino, del Prenestino e dell’Ostiense. Gli ordigni colpirono anche il cimitero del Testaccio e la Basilica di San Paolo. Un inferno di fiamme, macerie e fumo.

Le cronache dell’epoca scrissero che quello dello stabilimento dei Fiorentini fu un «tiro a segno di rara precisione». Sta di fatto che fu una tragedia. Con i dipendenti perse la vita in quei cunicoli anche Enzo Mariotti il genero del titolare Filippo Fiorentini e sua moglie che morirono di crepacuore solo qualche giorno dopo, a causa del dolore causato loro dall'immane tragedia. L’opera di recupero delle salme fu lenta e angosciante, i Vigili del Fuoco impiegarono tre giorni per estrarre le vittime.

La fabbrica dei Fiorentini non è più lì. Il loro unico figlio, Giuseppe, anche lui ingegnere, subito dopo la guerra ha avuto il coraggio di riprendere l'attività spostando la Ing. F. Fiorentini & C. S.P.A. poco più avanti lungo la strada Tiburtina verso fuori, ricostruendo daccapo i capannoni industriali per la produzione di escavatori, che proseguì fino al 1975. Poi l'azienda passò all’Imi e alla Gepi prima di essere definitivamente chiusa.

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